- Fotoracconto di Drago Calogero

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Fotoracconto di Drago Calogero - Alia Pubblicato il 15/09/2017
A fine questua estiva, a Frà Mariano "lu cori ci addivintava granni" allora distribuiva li lanni (barattoli) vuoti che generalmente erano di tre tipi, a tutto il vicinato.
La prima, grande con i bordi alti, era una vera rarità.
I nostri genitori, facendo due buchi per lato gli intrecciavano due pezzi di ferro filato che diventavano manici, e la usavano principalmente come porta attrezzi. Pertanto all`interno ci trovavi una pinza mezza arrugginita che non ne voleva sapere di aprirsi, una tenaglia da calzolaio, una mola in pietra, un martello a due teste tipo lattoniere, il mazzetto per battere e rendere tagliente la furlannia o la fauci (falci), la forbice per potare arrotolata in uno straccio vecchio, nnà runculidda (roncola), la Varvuscia (raschietto) per l`aratro, 4 viti lunghe con delle enormi rondelle e i dadi arrugginiti "pi la straula", una subbia e uno scalpello che sembravano cicche di sigarette appena fumate e "quannu si e quannu no", qualche chiodo arrugginito.
Mia madre ci teneva anche un paio di navette per il telaio e qualche canna "pi li cannola di filu" (spolette) e lu cuoppu (coppo) pi lu nimmulu (fuso in ferro).
Non di rado, questo tipo di barattolo, lo si trovava vicino al pozzo e si usava come secchio per tirare l`acqua.
La za Lilla di lu zi Peppi invece, li teneva lungo l`inferriata dello spiazzo d`avanti casa a fare da vasi per il basilico e la menta. La za Maria al contrario li riempiva di gerani e fresie e li posizionava lungo il bordo "di lu `ncimintatu" che delimitava casa sua con quella di la za Giovanna e la za Lucia.
La seconda, la più ambita, sempre con i bordi alti ma un poco più piccola (mezza mitatedda) veniva usata come unità di misura per le vendita o il baratto dei legumi, oppure per regolare il mangiare da somministrare agli animali dentro le coffe o nelle mangiatoie.
Lu zi Pinu lu craparu dopo averle rese lisce "cu du cuticchia" (ciottoli) gli creava un lungo manico in legno e dal centro della stalla riusciva a dare la pruvenna (Biada) al mulo senza disturbare le capre.
Mia zia Pippinedda così come quasi tutte le donne lo usavano pi "lu ghiommaru" (gomitolo) quando facevano la calza o altri indumenti "cu li busi"(ferri).
Totò di la za Pasqua, tagliandola a metà la modellò perfettamente e ne fece "nna bella cannalata" (grondaia).
La za Trisina ne teneva due appese all`estremità della scala a pioli che andava al sottotetto e quando pioveva correva a metterle sotto li "utteri"(infiltrazioni di acqua).
La terza a bordi bassi ma con una circonferenza più ampia, generalmente veniva usata "pi dari arienzia" (badare) alle galline, all`interno gli si impastava la "canigghia" (crusca) oppure si riempiva di acqua mettendo al centro un bel ciottolo. La za Turidda che questo tipo di problema non se lo creava, in quanto lu zi Peppi gli aveva costruito un piccolo abbeveratoio in cemento a forma di bacile, la usava pi teniricci li molletti, in considerazione del fatto che avendo la casa più alta rispetto alle dirimpettaie non poteva usare "li curdina cu li ghiacchi" (cappi).
La za Mitidda, foderandola "cu un cannavazziedu di filu finu" ci teneva "li ficu sicchi" che ci offriva quando andavamo a casa sua a giocare con Pinella.
E mastru Giacomino cu mastru Iachinu e Vicienzu, la riempivano di tacchi, sopratacchi, fibbie, tacce, cera e spago per cucire.
A questo punto qualcuno si chiederà: "ma chi voli diri?".
Nulla, facevo solo una riflessione guardando il camioncino della nettezza urbana che ogni mercoledì raccoglie bottiglie e barattoli e che ha grossi problemi di conferimento.
Quanta ricchezza sarebbe stata ai tempi della mia infanzia.
Un caro saluto a tutti.

 



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