IL SOGNO DI CATERINA- PARTE IV^ -

Radici & Civiltà

LO BLUNDO CLAUDIA LO BLUNDO CLAUDIA Pubblicato il 21/11/2005
<b>IL SOGNO DI CATERINA</b>- PARTE IV^ -

IL SOGNO DI CATERINA- PARTE IV^ -



PARTE IV^

A quel ricordo le tornò forte un rimpianto, quello già provato anche al momento di quel rimprovero: il rimpianto per la sua vita trascorsa in Brefotrofio, ed allora, come le accadeva talvolta di notte, le tornarono alla mente le parole di saluto che le aveva rivolto la Superiora al momento in cui era andata via e non era mai più tornata, neanche per un breve saluto. Di quel saluto le era rimasto un ricordo tangibile, che teneva custodito gelosamente, ignorato sia dalla signora Gastaldi che dalla vecchia Giacomina: al momento del saluto la Superiora le aveva donato la copertina con la quale era giunta in Istituto tanti anni prima, gliel’aveva data perché immaginava che per la giovane potesse costituire l’unico legame che poteva riallacciarla, anche solo affettivamente, alla madre che, di certo aveva trattenuto per sé il pezzo strappato

" Quando, secondo il volere di Dio, la signora Gastaldi morirà, tu erediterai la sua casetta, avrai un tetto sotto cui abitare; comportati bene, però, e mi raccomando, ubbidisci ed abbi sempre pazienza: la signora è anziana e le persone anziane vanno rispettate, immagina che sia la tua mamma! "

La Superiora aveva stretta in un abbraccio quella figliola che, nonostante avesse già venti anni, non avrebbe voluto lasciare l’istituto e poi si era fatta promettere dalla signora Gastaldi che qualche volta sarebbe tornata in visita con Caterina.

Con quella speranza e la copertina nascosta, Caterina aveva superato la tristezza della partenza: aveva salutato la sua Superiora, le suore, le compagne, la camerata con i sei lettini disposti in ordine e ricoperti dai copriletto bianchi; aveva salutato le corse spensierate per i viali alberati, i lavori domestici, il vecchio giardiniere ed il Gesù della cappella e poi era andata via in compagnia della signora Gastaldi, seguita dalla fedele Giacomina. Nel suo cuore c’erano pensieri contrastanti: la malinconia perché abbandonava quel luogo che aveva sempre considerato casa propria e la felicità nella fiducia giovanile del suo futuro.

Abituata all’obbedienza ed alla rigidità della vita di istituto, solo dopo molto tempo si era resa conto di essere divenuta prigioniera di una donna che la sterilità e la vedovanza avevano invecchiato prima del tempo e avevano resa bisbetica, di una donna che le rimproverava, sottilmente, la sua giovinezza e che la obbligava ad ascoltare il racconto della sua vita, i luoghi visitati, i lunghi viaggi felici per mare a bordo di navi bianche come i gabbiani dove, raccontava per farle invidia, si balla, si mangia, si dorme e si fa l’amore!

A lei, a Caterina, invece, la signora Gastaldi impediva di uscire da sola e le diceva che lo faceva per il suo bene perché lei, povera trovatella, non sarebbe stata in grado di difendersi dagli uomini che, promettendole chissà quali cose, le avrebbero fatto commettere tanti peccati, come, aggiungeva, accadeva spesso a tante donne peccatrici.

A Caterina sembrava che la signora Gastaldi volesse riferirsi a sua madre che di certo, l’aveva concepita senza essere sposata.
La vita trascorsa in istituto aveva insegnato a Caterina il senso di quelle parole e quando pensava alla madre sconosciuta, nel silenzio del proprio intimo, abbelliva l’immagine fantastica di colei che l’aveva generata, le ripugnava pensare che sua madre fosse stata una donna " peccatrice."
Poi, seduta nella camera della signora Gastaldi, da dietro i vetri del balcone e senza farsene accorgere, aveva imparato a spezzare la monotonia delle proprie giornate guardando cosa accadeva sul molo.

Un pomeriggio di fine estate, al molo aveva attraccato un’imbarcazione militare. Rassicurata, dal tono profondo del respiro, che la signora Gastaldi dormiva, Caterina, con molta attenzione per non fare rumore, aveva posato il lavoro a maglia e si era alzata in piedi per poter osservare meglio le persone che scendevano dall’imbarcazione; c’erano diversi marinai ed alcune donne che da lontano le sembrarono giovani e felici: lo intuì dai loro movimenti agili e dal loro andare e venire mentre attendevano chi si attardava a scendere. Le donne indossavano gonne vaporose, sorrette da rigidi sottogonna che aveva visto in un negozio a Portovenere e che qualche giovane indossava per pavoneggiarsi quando andava a messa. Anche lei avrebbe voluto una gonna vaporosa ed anche se Giacomina aveva detto che quelle non sembravano gonne ma ombrelli, lei era rimasta della propria idea: a lei facevano tornare alla mente i disegni di certe campanule rovesciate che aveva visto stampate sui libri di scuola.

Osservando quelle giovani sul molo, Caterina aveva constatato con amarezza che lei non sarebbe stata mai come loro: era un pò grassa.

" Mangi troppo, diventerai una piccola botte! "
Quella frase gliel’aveva detto poco tempo prima la signora Gastaldi che subito dopo, forse per mitigare la soddisfazione cattiva delle proprie parole aveva aggiunto, sincera: " Hai soltanto una cosa bella: il viso! "
e poiché Caterina, involontariamente, aveva abbassato lo sguardo sulle proprie mani, la signora Gastaldi, quasi con magnanimità, aveva aggiunto: " Si, si, anche quelle! "

La vista di quelle giovani aveva dato a Caterina il senso della propria dimensione fisica: non sarebbe mai stata leggiadra, carina come loro. Si era guardata addosso con tristezza e con un gesto involontario si era toccata i capelli, neri, ondulati, che la signora la obbligava a portare raccolti a crocchia sulla nuca, come quando stava in istituto. Intanto le giovani erano scomparse dal suo sguardo; se fosse uscita sul balcone, al di sopra del tetto spiovente della casa costruita un po’ più avanti, avrebbe potuto vederle mentre giungevano in piazzetta. Per la prima volta aveva provato invidia nei confronti di qualcuno e rancore per il proprio destino, così era tornata al proprio lavoro nella speranza di riuscire a calmare i sentimenti che la agitavano ed ai quali non avrebbe saputo né voluto fare domande.

Mentre le sue mani si muovevano agili, Caterina aveva iniziato a fantasticare sulle donne appena viste: chissà da dove venivano e dove sarebbero andate dopo la sosta a Portovenere? Forse erano ricche, forse mogli o figlie di ufficiali e si divertivano a girare il mondo, felici, libere di fare quel che volevano, libere di comprare quel che a loro piaceva e di indossare quel che preferivano, felici di stare su una nave!

All’improvviso aveva riflettuto che probabilmente c’era davvero qualcosa di bello e di particolare nell’andare per mare, quel pensiero le aveva dato la sensazione di vedere dinanzi a sé una finestra aperta dinanzi alla quale nessuna signora Gastaldi avrebbe potuto impedirle di affacciarsi!

Aveva rivolto uno sguardo al mare ed aveva provato, nei suoi confronti, un improvviso sentimento di simpatia e di attrazione, quasi fisica; poi aveva sollevato gli occhi verso il cielo che iniziava a tingersi di rosa. Scrutava quello splendido pomeriggio di settembre come se lo vedesse per la prima volta: il sole, anche se scomparso, riscaldava ancora le cose e la sua luce calda ed obliqua si materializzava sul luccichio delle onde che tremolavano calme sotto la brezza pomeridiana.
Caterina si era soffermata a cercare la prima stella quella che, da sempre, le sembrava corteggiasse la luna, poi aveva abbassato lo sguardo verso l’orizzonte ed allora, nell’ultima luce del giorno aveva visto, lontano, una grande nave bianca, uno di quei transatlantici che viaggiavano per lungo tempo, e le era sembrato una leggiadra farfalla

Da allora Caterina aveva iniziato a fantasticare sul mare; le piaceva sognare mentre stava seduta dietro i vetri chiusi del balcone in inverno ed a fianco degli scuri socchiusi per impedire alla luce di inondare la stanza, in estate.

Il silenzio dei suoi pensieri era interrotto da qualche parola di Giacomina, o dalla visita di chi, saputo della sua bravura nel lavorare a maglia, le commissionava qualche lavoro; il mare, ormai, non le sembrava più e soltanto, un’anonima massa d’acqua, quella dalla quale lei era venuta, ma nei suoi sogni diventava una strada sulla quale poter camminare per andare ogni dove.

Poco dopo la morte della signora Gastaldi, alla lettura del testamento, Caterina aveva appreso che l’appartamento nel quale viveva da circa quindici anni, sarebbe divenuto di sua proprietà se vi fosse rimasta sino a quarant’anni, purché non si fosse sposata prima di quell’età. Assorbita dal dolore per la morte della sua benefattrice, Caterina non aveva compreso che quella, forse ancora invidiosa della sua giovinezza, intendeva renderla prigioniera in quella casa, allontanandola dalla vita!

Invecchiata anche lei e non sapendo dove andare, Giacomina era rimasta in quella casa che considerava un po’ propria, per accudire a Caterina che, ormai disabituata a farlo, usciva sempre più raramente dalla sua nuova camera, quella con vista sul mare che era appartenuta alla signora Gastaldi.

Dalle mani, ormai esperte di Caterina, che le avevano fatto acquistare il titolo di <ì>" magliaia di Portovenere", i sogni della sua solitudine si liberavano per trasferirsi su maglie, scialle, coperte, tappeti e mentre dalle sue mani uscivano lavori vaporosi come la schiuma del mare sui quali spiccavano onde, gabbiani, vele, continuava a sognare che un giorno avrebbe lasciato Portovenere, avrebbe attraversato il mare per andare alla scoperta di altri mondi, per scoprire il suono, la voce, i colori degli altri mari, avrebbe visto altre albe, altri tramonti.
Ma se l’assaliva l’impotenza a muoversi, frutto della pigrizia che la rendeva sempre più grossa, allora decideva che nessun altro mare avrebbe mai potuto procurarle le emozioni che le dava il "suo" mare quando lambiva gli alti scogli o quando rumoreggiava nelle notti di tempesta o quando, tra i bagliori dei lampi, sbatacchiava con violenza le imbarcazioni legate ai piloni del molo quasi volesse vendicarsi perché rubavano e sporcavano il suo spazio!

Un giorno, Caterina aveva trentotto anni, in casa era giunto Bruno, un nipote di Giacomina; l’anziana zia gli aveva già parlato di Caterina e lo aveva convinto a conoscere la giovane fiduciosa che, anche lui solo al mondo e dopo tanto girovagare come marinaio, si sarebbe fermato ed avrebbe sposato la buona Caterina. Il nipote aveva cinquantadue anni, quando avrebbe finito di lavorare avrebbe ricevuto la sua pensione e lei, Giacomina, sperava con quel matrimonio, di assicurarsi una vecchiaia serena in quella casa, contro il timore di poter finire in un ospizio per vecchi quando, chissà, Caterina avrebbe potuto decidere di sposarsi compiuti i quarant’anni.
Quando aveva visto Caterina per la prima volta, Bruno era rimasto perplesso dinanzi alla sua corpulenza; subito dopo aveva capito che quella rotondità – si rifiutava di parlare di grassezza – derivava alla ragazza dalle lunghe ore trascorse seduta a lavorare a maglia e si era anche convinto che se non fosse stato per quella
"rotondità" Caterina sarebbe stata una donna graziosa.

Claudia Lo Blundo




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