La vita sociale - VI^ Parte -
Lo stato delle attività agricole e artigianali
" In sul finire degli anni '20, il regime dell' epoca diede la stura, sospinto da certe esigenze dello stato dell'economia nazionale, ad una politica che doveva essere di "rinnovamento", una politica che, insomma, sembrava dovesse condurre il paese verso un incremento delle sue risorse, del suo sviluppo industriale da una parte e della primaria economia, quella agricola, essendo l'Italia un paese agricolo-industriale. A tal fine, il regime puntò la sua attenzione su un nuovo filone industriale che in Europa e nel Mondo economicamente avanzati si stava affermando largamente: l'industria chimica e segnatamente quella di impiego nell' agricoltura; in funzione di un sostanziale incremento della produttività, in senso quantitativo e qualitativo.
I contadini si erano ribellati contro quella "diabolica" novità che voleva sovvertire gli usi abituali, come l'impiego, per esempio, della "grassura" (lo stallatico) per ingrassare il terreno, o come il criterio dei cicli produttivi: un' annata a grano, un' altra a fave e poi sulla e così via riciclando; metodi che per secoli avevano dato buoni risultati, non essendone stati sperimentati di nuovi.
Qualcuno si domanderà: ma la proposta doveva interessare molto più i grossi agrari: c'erano anche loro in piazza a protestare? No, non c'erano, però se fossero stati d'accordo per l'uso dei concimi chimici, non sarebbero andati in piazza a dare il loro consenso, ma avrebbero saputo come impedire ai villani di scendere in piazza a bruciare l'esattoria. VuoI dire che per i possidenti, anche i più addottorati, l'impiego dei concimi chimici era considerato una trappola.
Ho voluto citare questo episodio per dimostrare quanto fosse arretrata la nostra agricoltura e come il mondo contadino, in ogni sua istanza, fosse caparbiamente avverso a ogni spinta di progresso e come questa sua resistenza trovasse la complicità dell'intera società.
Appare evidente che in una agricoltura così arretrata e in una società così ottusa, il contadino vivesse una vita magra, sacrificata. L'esistenza del contadino si reggeva su pochi elementi, ma tutti importanti: la terra che, come ho detto, era in larga misura in possesso di pochi agrari, e per ottenere la concessione di un appezzamento di terreno, il contadino doveva penare assai; le sementi, che spesso il piccolo affittuario e il metatiere dovevano chiedere in prestito al proprietario, che le concedeva ad usura; il mulo per tirare l'aratro a chiodo; il buon Dio a cui si affidava perché mandasse una buona stagione.
E poi veniva il tempo del sole e del vento che erano determinanti, a seconda delle esigenze del frutto atteso. Ansie, speranze, timori dall'inizio dell'anno agricolo, sino alla fine, sino cioè al completamento dei raccolti: dal grano, all'uva, alle olive...
Per i ragazzi poi, i mesi invernali erano una vera iattura perché, come già accennato, a scuola non c'era riscaldamento e si battevano perciò i denti: i ragazzi non vedevano l'ora di tornare a casa, dove almeno c'era di sicuro un braciere di rame, ardente di fuoco
che li scaldava, in qualche modo.
scempio di quegli alberi, tanto faticosamente e costosamente piantati lì.