LE TRADIZIONI - II^ PARTE -

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 02/12/2005
<b>LE TRADIZIONI</b>   -  II^ PARTE  -

LE TRADIZIONI - II^ PARTE -



tratto da GIORNI VISSUTI COME SE FOSSERO ANNI di Liborio Guccione, giornalista e scrittore aliese, che ambienta tale sua opera nel paese natìo degli anni ’30 -’40.
Per la gentile concessione alla divulgazione telematica del libro, si ringraziano sia gli Eredi dell’Autore sia l’Amministrazione comunale di Alia, che nel 1997 ne ha curato la prima edizione.

Le festività natalizie

- la vecchia-strina -

" La sera di Capodanno è quella che ricordo particolarmente, e non è un ricordo molto esaltante, a dire il vero. Al mio paese, nella notte che chiude l'esistenza il vecchio anno e nasce il nuovo, c'era un'usanza: a una certa ora della sera, dal profondo buio avvolto dal silenzio, giungeva dalle strade una voce lamentosa, sofferente. Il lamento era preceduto da alcuni colpi cupi che si udivano, come se qualcuno picchiasse una persona provocandole sofferenze: erano colpi secchi, distanziati l'uno dall' altro che nel silenzio agghiacciante generavano una sensazione lugubre. Quella voce lamentosa, quei colpi lugubri incutevano una tal paura nei piccini che correvano a nascondersi fra le gonne delle mamme, e ogni tanto guardavano con gli occhi sbarrati porte e finestre nel timore che l'ignota e lamentosa voce potesse materializzarsi e penetrare nella casa. Chi si lamentava e generava tanta paura era la "vecchia-strina", una specie di befana che altrove, invece, suole portare allegramente dolci e giocattoli ai bambini. La vecchia strina, era impersonata da alcuni giovinastri che giravano in quella notte, uno recando sulle spalle una grossa vescica di bue, gonfiata, sulla quale altri giovani battevano con un bastone, provocando colpi tristi, per scacciare, simbolicamente, il vecchio anno il quale, naturalmente si lamentava con voce straziante quella, appunto, che provocava nei piccini una gran paura.
Ma l'effetto "vecchia-strina" si trasferiva poi nel letto, perché i grandi davano ad intendere che essa, a conoscenza dei comportamenti di ciascun bimbo, era quella che distribuiva, a suo insindacabile giudizio, premi o pene. Nella notte entrava nelle case, attraverso il camino, e lasciava nel letto, sotto i piedi, doni belli ai bimbi "buoni", la grattugia e il carbone ai bimbi "cattivi".

Immaginarsi la paura dei bimbi che, non sapendo quale potesse essere il concetto di "buono" e di "cattivo" della vecchia-strina, riponevano l'unica speranza che essa fosse meno severa di quanto la facevano apparire o che non fosse del tutto edotta di ciascun caso. Ma, del resto, nessun bambino si considerava "cattivo" e quindi tutti restavano speranzosi, anche se ansiosi.

Peraltro l'idea del "cattivo" e del "buono" non è mai riuscita, da che mondo è mondo, a trovare una giusta collocazione nei comportamenti umani, né ad appalesarsi con una regola che consentisse agli uomini l'opportunità di distinguere l'un concetto dall'altro.
Non dico che ci vorrebbe proprio una regola (che di regole in questo mondo ce ne sono troppe!), ma una certa misura orientativa che servisse come modello di comparazione. Che non fosse, insomma affidato il discernimento alla propria individuale discrezione.

Si dirà che un giudice c'è,'nascosto dentro di noi e che è una misura esatta: è la propria coscienza. Ma di quella tutt' al più ci si ricorda quando fa comodo. E ho ragione di sospettare che non venga poi presa troppo sul serio dai più.

Si dirà allora: ci sono le leggi della società che dettano le regole che consentono di distinguere ciò che è bene e ciò che è male. Intanto è appurato che non sempre sono fatte proprio a giusta misura d'uomo e, forse proprio per questo nessuno se ne fida, e se quelle leggi non fossero seguite dalle pene nessuno se ne darebbe per inteso. È assodato che ciascuno si senta sempre defraudato delle proprie ragioni e vittima di ingiustizia, avendo certezza delle proprie ragioni e altrettanta certezza dell' altrui torto. Nessuno accetta il giudizio altrui in senso opposto al proprio. E così si finisce che non esistono né buoni né cattivi e, anzi codesti concetti diventano astratti. È ormai accertato che l'unico momento della vita in cui si è giudicati buoni, è quando si muore. Anzi, è comune consenso ormai che quando si nasce si è tutti belli, che quando ci si sposa si è tutti ricchi e quando si muore si è tutti buoni.
Come si vede le occasioni non mancano e vanno su misura a tutti.
Del resto a sconto delle proprie colpe, delle proprie perversità, gli uomini sanno come scaricare la propria coscienza: basterà chiedere il perdono in confessionale. E poi c'è il tempo che è un gran livellatore e apre tutte le speranze, compresa quella che quando si presenteranno al cospetto di Dio, Egli avrà pietà nonché perdono. È solo una speranza, ma ne vale la pena. Aiuta a vivere, nel bene e nel male.

Per i ragazzi non esiste proprio il concetto di buono e di cattivo e, in definitiva, forse è bene che non se ne facciano gran carico, vista la complessità del problema.

Ma nella ricorrenza del capodanno, al cospetto della vecchia-strina era un'incognita penosa che si trascinava per tutta la straziante nottata, passata quasi insonne e con la testa sotto le coperte, con 1'affanno nel cuore, il corpo tutto rannicchiato per non correre l'alea di toccare coi piedi il fondo del letto, dove poteva capitare di imbattersi in quella maledetta grattugia, simbolo di castigo. Una notte da incubo! E quando, finalmente giungeva la luce del giorno, un bel sospiro di sollievo: il tempo della vecchia-strina era scaduto, la notte era trascorsa senza brutti eventi: un po' di paura, ma ormai tutto era accaduto.

Allora si andava a scoprire il fondo del letto per "leggere" la sentenza.

Non faceva certo piacere trovare la grattugia e il carbone, ma il castigo era sempre mitigato dalla presenza anche di qualche arancia o di qualche "urciddatu"; segno che il giudizio era stato alquanto salomonico.
Certo, i"castigati" avevano sperato in una qualche indulgenza: trovare, per esempio quel cavallino di cartone, tanto sognato... Ma, pazienza, dopo tutto poteva accadere di peggio con quella vecchia-strina.
I "buoni" andavano sicuri a cercare in fondo al letto. Avevano osservato la sera avanti i loro genitori, i loro parenti aggirarsi nelle stanze con quel fare nascosto, misterioso, i sorrisi ammiccanti che erano assai significativi. E loro, i bambini, sapevano leggere a loro favore nelle pieghe di quello strano comportamento. E andavano a letto sereni, sognando la vecchia-strina carica di doni.
Così, i bambini che al mattino trovavano in fondo al letto, fra il tepore dei lenzuoli, la grattugia e il carbone, si rattristavano, ma si rassegnavano al giudizio della vecchia-strina: erano stati cattivi! Gli altri, quelli che trovavano, invece, dolci e giocattoli, erano ovviamente felici... e buoni!

Erano sempre gli stessi, tutti gli anni, a risultare "buoni" e meritevoli di premi, e sempre gli stessi quelli giudicati "cattivi" e puniti con il carbone. I primi sapevano che la loro bontà era misurata col compasso delle possibilità economiche dei loro parenti, mentre i secondi non sapevano perché venissero a risultare sempre cattivi. Lo scopriranno quando diventeranno a loro volta genitori e dovranno dire ai loro figli di non meritare i doni della vecchia-strina perché "cattivi ".

Certo, tristi i bambini a cui toccava la sorte di "cattivi", ma tristi, anche quei genitori che per non confessare la loro "colpa" di essere poveri, erano costretti a far credere ai loro figli di essere immeritevoli di doni: erano cattivi per "diritto ereditario". Perché la miseria è un fatto ereditario, come si dice di certe malattie. Non è come la nebbia che si dirada al primo sole; è come le montagne che non crollano mai e non si spostano mai da dove la natura le ha collocate. Che siano i poveri a generare tutti i mali nel mondo? !
Tuttavia, beata ingenuità dei fanciulli di allora, di quelli chiamati a soffrire, perché almeno subìvano senza la mortificante consapevolezza di essere i condannati dalla vita. Oppure sapevano, tacevano e soffrivano?!

Oggi è un'altra cosa, si sa! Oggi si dice che non ci sono più poveri, e non esistono, per conseguenza, bambini cattivi e bambini buoni perché oggi i bambini sono tutti figli di un'unica madre, di una unica sorte: la società del benessere, del consumismo che li assilla, li annienta, a tal punto che essi finiscono per perdere perfino il gusto di ciò che hanno e, soprattutto, finiscono per non distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto.

Questa nostra società corre sul filo della massificazione disordinata, livella tutto e tutti. È tempo di mistificazione, di appiattimento di tutti i valori, culturali, civili e umani.

Le tradizioni popolari erano rigorosamente rispettate e vi prendevano parte ricchi e poveri. Certo, ognuno salutava col cappello, anzi con la cuoppula che aveva, ma tutti avevano rispetto per le tradizioni che consideravano come parte integrante della loro vita. Anche in questi nostri giorni le tradizioni sono rimaste come retaggio del passato, ma non sono più vissute dalla gente con la stessa partecipazione: le vive al di sopra di essa, con distacco, come se non appartenessero più alla propria vita. Molte tradizioni, comunque, sono decadute. "




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