Il fascino dell’Altopiano di Asiago (o dei 7 Comuni) -I-

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 16/01/2006
<b>Il fascino dell’Altopiano di Asiago (o dei 7 Comuni)</b> -I-

Il fascino dell’Altopiano di Asiago (o dei 7 Comuni) -I-



nell’opera “L’Altipiano delle meraviglie” dello scrittore Mario Rigoni Stern e del fotografo Roberto Costa, edita nel 2003 dalla Banca Popolare di Vicenza che si ringrazia vivamente per averne autorizzato la parziale pubblicazione in questo sito web.



INTRODUZIONE - I^ Parte -


Ancora l'Altipiano? Sì, ma non in guerra questa volta. Vogliamo dare a chi sfoglia questo libro un ricordo e una immagine di natura in questo ambiente e in questo nostro tempo, così come si può oggi osservare nel corso di un anno tra questi monti boscosi. Gli autori, il fotografo e chi scrive, sono sempre vissuti quassù per necessario amore e portano nella memoria tutto il loro vissuto e anche qualcosa di più ereditato dagli antenati.

All'inizio di questo lavoro ci è sorto però un dubbio: ai fini della conservazione e della protezione è utile far conoscere e divulgare questo nostro ambiente del quale siamo gelosi? Forse venti o anche dieci anni fa avrebbe potuto essere un danno; oggi ci sembra di no perché la considerazione verso la natura è sicuramente aumentata anche per la premura che associazioni, enti, stampa e scuola hanno verso un problema, l'ambiente, che sempre più si presenta importante per la nostra stessa sopravvivenza.

Nelle scuole, specialmente nelle primarie, le insegnanti affrontano l'argomento con passione conseguendo buoni risultati; come con quei bambini di una scuola elementare trentina che hanno studiato e poi pubblicato i loro lavori su microflora e microfauna eseguiti lungo un sentiero in terreno abbandonato.
Così viene ragionevole pensare che questo libro non sarà inutile e stimolerà ad approfondire la conoscenza, quindi il rispetto e da qui l'amore per questo nostro vetusto Altipiano dono di Dio.

Ma com'era cent'anni fa, all'inizio del xx Secolo, prima che la Grande Guerra lo devastasse? Qui ci aiutano le vecchie fotografie, mappe, testi e memorie di racconti ascoltati dagli anziani.

In quel tempo bastava poco per vivere, aspra era però la vita per avere quel poco; aspra per fatica, ma serena per comunanza montanara. I terreni del Comune, attorno alle contrade e ai paesi, divennero enfiteutici e livellari, così furono dissodati, raccolti e fermati con muretti a secco sulle rive dei monti fin dove il bosco riservato a legname d'opera lo consentiva. Segale, lenticchie, orzo, avena, lino e patate avevano poca terra per crescere e scarsa era la resa, ma il sapore di quei raccolti rimane ancora oggi insuperato non per fantasia di ricordi ma per reale qualità.

Verdoni, allodole, quaglie, culbianchi, averle, rigogoli, saltimpalo arrivavano qui a nidificare, le lepri uscivano numerose nei crepuscoli. non c'erano ancora caprioli e boschi sopra i seminativi e i pascoli crescevano robusti e curati; erano anche sorvegliati con rigore dai guardaboschi comunali e i legnami più belli erano riservati alla manifattura artigianale. La carica di Assessore ai Boschi era ambita quanto quella di Sindaco.

Cento anni fa venne ucciso nel Bosco dei Meltar quello che venne considerato l'ultimo cervo; a metà dell'Ottocento Nicola Scoa uccise l'ultimo orso al Sasso Spaccato, ai margini del Bosco del Hano, dove qualche notte precedente gli aveva distrutto un campetto di segale. Verso le montagne più alte, Cima XII, Portule, Galmarara, le boscaglie di pino mugo erano poco sviluppate perché i carbonai lo utilizzavano per ottenere carbone dolce, richiesto nelle città di pianura, specialmente a Venezia, sia per riscaldamento che per la fusione dei metalli preziosi.

Lassù abitavano i camosci, le Willagoaz, capre selvatiche, che venivano cacciati in battuta un giorno all'anno: il 2 di novembre. Poco prima che scendessero dagli alpeggi pecore e vacche, alcuni giorni erano dedicati alla caccia dei forcelli e delle pernici bianche. Fu in quel tempo che venne istituita per la prima volta una riserva di caccia nei territori dell' ex Reggenza dei Sette Comuni.

Queste, però, erano anche terre di confine con l'Impero Asburgico e dall'una e dall'altra parte, al principio del Novecento, si diede inizio a grandi opere di fortificazione.

Nel luglio del 1914 deflagrò la Prima Guerra Mondiale e in quei cinquanta mesi che si fermò sull'Altipiano il paesaggio e l'habitat cambiarono radicalmente. Sembra ora impossibile considerare che dopo tanta distruzione gli animali selvatici trovassero la forza e l'ambiente per riprodursi così rapidamente. È la natura che stimola questo per riprendere con slancio la vita?

Ora non è più quello precedente il 24 maggio 1915, nemmeno quello dopo il 4 novembre 1918; quest'ultimo cambiamento non è però d'imputare esclusivamente alla Grande Guerra ma anche agli interventi dell'uomo negli anni successivi a questa: ricostruzione, turismo, sviluppo edilizio.

Tra gli animali selvatici che abitavano l'Altipiano a soffrirne maggiormente furono i camosci perché lassù, nelle quote più alte, vennero a trovarsi gli Austriaci che sono ottimi cacciatori e bravi tiratori. I camosci divennero oggetto di caccia anche perché scarso e povero era il cibo dei soldati, e per questo osavano cacciarli dove si erano rifugiati per i dirupi che precipitano nella Valsugana. I pochi rimasti fecero fatica a riprendersi e qualche capo trovò rifugio nell’Alta Valdastico, sull'uno e l'altro versante.

Quando nel 1919 i nostri profughi incominciarono a ritornare per ricostruire i paesi, videro le volpi fin dentro le macerie; sui prati e sui seminativi scassati dalle bombe trovarono abbondante pastura numerosissimi uccelli: alaudi, corvidi, turdidi e falconidi; numerose erano anche le starne che avevano preso dimora presso gli orti e i seminativi dove i cereali dispersi e rigermogliati avevano per loro un terreno ideale.

Gli urogalli si erano rifugiati nei boschi dove non potevano arrivare i colpi delle artiglierie, ma nelle radure create dai disboscamenti militari dove erano sorti ospedali da campo, depositi, ricoveri per i quadrupedi, crescevano rigogliosi lamponi, fragole e mirtilli e negli scavi prosperavano nidi di formiche e di altri insetti, così che questi tetraonidi trovavano cibo in grande abbondanza.

I forcelli avevano cercato rifugio ai piedi delle pareti di roccia ma più ancora nelle scaffe defilate ai tiri, là dove i carbonai non erano riusciti a tagliare i mughi. Anch'essi, quando cessarono le battaglie, in quella primavera del 1919 si radunarono sulle aree di canto per la lotta amorosa.

Le pernici bianche trovarono alloggio e cibo abbondante nei baracchini abbandonati di Cima Portule, Cima XII, Caldiera e Monte Chiesa. Le bianche dei Lagorai vennero a incontrare quelle dell'Altipiano e gli urogalli dei boschi del Calamento a litigare con quelli di Marcesina. In tutti i boschi i picchi trovavano casa e cibo nei vecchi larici e abeti feriti dai combattimenti.

I mustelidi: ermellini, faine, donnole, martore se la spassavano tra i baraccamenti e i ricoveri invasi dai topi, loro cibo preferito. I tassi non faticavano a trovare tane!

Insomma se la Grande Guerra infiniti danni aveva cagionato al vivere degli umani, per gli animali selvatici, alla fine, era diventata abbondanza di cibo, di ricoveri e di grande tranquillità. In questo silenzio un mattino di primavera, con il sole che sorgeva da dietro il Monte Grappa, anche le coturnici con il loro canto risalivano l'Altipiano per poi proseguire verso le montagne più alte nella ritrovata pace.

Milioni di semi di peccio della Val di Fiemme vennero sparsi e coltivati nei vivai forestali scaglionati in quota nei luoghi più opportuni e quando, dopo qualche anno, le piantine furono pronte, si diede mano alla grande opera di rimboschimento. Lentamente, molto lentamente il paesaggio stava per riprendere un nuovo aspetto: il grigiastro si rinverdiva, nel loro areale si espansero le conifere; i mughi comparvero piccolissimi dove erano passate le battaglie.


di Mario Rigoni Stern


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nella foto, panorama estivo di Asiago.


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