L’Occidente diviso

Radici & Civiltà

SILVESTRI GIOVANNI SILVESTRI GIOVANNI Pubblicato il 10/02/2007
<b>L’Occidente diviso</b>

L’Occidente diviso

Recensione del libro L’Occidente diviso di JÜRGEN HABERMAS, Ed. Laterza, Bari–Roma 2005.


Con questo suo ultimo volume, il noto filosofo tedesco JÜRGEN HABERMAS interviene sul complesso e drammatico dibattito che, in seguito all’attacco terroristico alle Torri gemelle dell’11 settembre, si è sviluppato sul futuro del mondo, sul futuro dell’Europa (sulla possibilità/necessità di una identità europea) e sui difficili rapporti tra Usa ed Europa.

Gli scritti del volume – che vanno dall'aprile 2003 al settembre 2004 – sono contributi diversi ma puntuali ai momenti più significativi verificatisi dopo l’evento terroristico: la vittoria americana in Iraq e l’ingresso delle truppe americane a Bagdad, la manifestazione per la pace del 15 febbraio 2004, il dibattito sull’identità europea e la firma del Trattato costituzionale europeo; cui si aggiunge un’intervista sulla guerra e sulla pace e un saggio che ripropone il progetto kantiano di una costituzionalizzazione del diritto internazionale.

L’emblematico titolo – che evidenzia la presa d’atto della dolorosa frattura tra America ed Europa – fa già da chiaro punto di partenza alla riflessione del filosofo tedesco, ma che si esplicita con un immediato atto d’accusa già nelle prime parole della premessa : “L’Occidente è stato diviso non dal pericolo del terrorismo internazionale, bensì dalla politica dell’attuale governo statunitense, che ignora il diritto internazionale, emargina le Nazioni Unite e dà per acquisita la rottura con l’Europa” (p. v).

Un chiaro e sferzante j’accuse, che non lascia dubbi sulla posizione del filosofo tedesco. Una dura presa di posizione contro il nuovo corso della politica americana che, secondo il filosofo, rischia di portare indietro l’orologio della storia e di vanificare quella che si può definire “una delle più grandiose iniziative tendenti a civilizzare il genere umano” (ivi): propriamente “il progetto kantiano dell’abolizione dello stato di natura fra gli Stati” e l’instaurazione, tanto utopistica nei secoli passati quanto fattasi parzialmente realtà dopo la fine della seconda guerra mondiale: quella di una società cosmopolìta fondata sulla legittimità democratica del consenso. La frattura fra America ed Europa rischia di indebolire mortalmente la carica di fiducia e di pensiero creativo che avevano fatto risorgere l’Europa dalla catastrofe precedente. E quella che è stata una progressiva identificazione europea con l’ispirazione ideale e con i principi illuministici della democrazia americana, sembra ormai venire meno in molte menti europee, mettendo in seria discussione la possibilità di una internazionalizzazione del diritto.

Il testo di Habermas si offre quindi come una puntuale analisi della sopraggiunta crisi di identità dell’Occidente, una crisi di identità purtroppo crudamente espressa dall’emergere inconsulto della “virtù normativa del fattuale” (p. 6) e dall’improvviso tornare a prevalere di una logica machiavellica sulla ragione e sulla fiducia nella possibilità di costruire una comunità mondiale in cui si affermi un diritto cosmopolìta e una convivenza fondata sulla legittimità del consenso. E’ in atto un cinico adattamento del diritto internazionale al potere statale nazionale.

La disinvolta politica pragmatista americana porta a subordinare l’etica del discorso all’azione efficace e alla volontà egemonica; ci si disfa con leggerezza di quella che, agli occhi dei pragmatisti e neoconservatori americani, viene definita una “difesa dogmatica del diritto internazionale” (p. 6). Col pretesto della lotta ad un nemico globalmente ramificato, si tende a giustificare la legittimità dell’azione unilaterale e preventiva contro rivali, giusto in nome di ‘ideali liberali’ che nella realtà fuoriescono “dai binari riformistici della politica dei diritti umani perseguita dall’Onu” e fanno “saltare i vincoli di civiltà” (p. 7) imposti dalle Nazioni Unite.

Sottolineata l’improvvisa rottura di continuità e il carattere propriamente ‘rivoluzionario’ di questo cambiamento di orientamento nella politica americana e constatato il fatto che gli Stati Uniti si sono di fatto assunto il ruolo di curatore fiduciario laddove l’Onu ha fallito, Habermas pone il più bruciante degli interrogativi attuali: “è lecito sostituire la giustificazione nel contesto del diritto internazionale con la politica di un ordinanamento mondiale unilaterale perseguita da un soggetto egemonico che se ne conferisce da solo l’autorizzazione”?

Habermas esplicita quindi tutti i motivi di un dissenso che gli fa anche prendere le distanze dalla sua precedente posizione sul pacifismo giuridico, nonché dall’idea di un uso legittimo della forza e del ritorno alla guerra, purché sotto il controllo delle Nazioni Unite e con l’obiettivo dichiarato di una estensione della democrazia e dei diritti umani nelle nazioni.

Nella sua parte propositiva, il filosofo – contro il tentativo di una imposizione americana di un ordinamento mondiale unilaterale che si autolegittima – afferma la non realizzabilità della visione imperialistica americana e l’irrazionalità di una politica mondiale fondata sul potere militare. Da ciò il suo appello al ruolo di spinta che l’Europa può e deve assumere nell’affermazione di un diritto internazionale in grado di fermare e di correggere la visione politica americana (p. 24). Nella complessità della situazione attuale si impone la realizzazione progressiva di una normativizzazione giuridica delle relazioni internazionali (p. 108), il potenziamento del ruolo determinante delle Nazioni Unite nel nuovo ordine mondiale, un’ulteriore specificazione della sfera diritti umani, la realizzazione di un progetto di cittadinanza mondiale: tutto ciò può essere possibile solo attraverso la costituzionalizzazione di un diritto internazionale che rimanga fedele all’ideale liberale in un contesto cosmopolìta di legittimo pluralismo.

Contro lo svuotamento del progetto kantiano operato dal nuovo orientamento della super-potenza americana e contro il rischio che il nuovo ordine mondiale sia solo attuazione di una pax americanafrutto di una "pretesa imperiale" (p. 15) dell'amministrazione statunitense; contro il rischio elevato che il diritto internazionale, l’unico ad avere un "potere morbido di civilizzazione" (p. 98), venga piegato all’etica di una nazione egemone, alle pretese ideologiche (o "falso universalismo"; p. 94) di investitura morale auto–legittimantesi e auto–giustificantesi (vedi l’auto–legittimazione alla guerra preventiva, le deroghe dai trattati internazionali, ecc. ) Habermas fa valere il principio dell’universalismo concreto dei diritti umani, della legittimazione normativa, del pluralismo effettivo dei modelli di democrazia nel mondo.

Fedele alle premesse della sua teoria dell’agire comunicativo, Habermas pone la sua fiducia, più che nell’efficacia dello strumento giuridico (p. 190), nelle emergenti resistenze alla supponenza egemone del nuovo corso americano, nel potenziale critico consapevole delle diffuse e omnipresenti forme di sfruttamento del pianeta, nell’affermazione progressiva dei diritti umani e nell’adesione universale agli ideali della democrazia (p. 197).

La vera pace potrà realizzarsi con la costituzione un nuovo ordine mondiale che si fondi sull'auto-limitazione degli Stati e sulla delega, da parte loro, dell’uso esclusivo della forza ad una repubblica mondiale. Si realizzerebbe, così, non uno Stato mondiale che azzeri la sovranità dei singoli Stati, ma una politica interna del mondo “senza governo mondiale" (p. 131), nella quale il potere sovrano resterebbe sempre subordinato al diritto cosmopolita e al consenso dei cittadini. Tale repubblica mondiale – che dovrebbe fondarsi su una struttura decentrata di potere e prevedere un sistema di controlli via via più forti man mano che i poteri si allontanano dalle fonti di legittimazione e di consenso dei cittadini – dovrebbe avere come unica competenza la tutela della pace e dei diritti umani.

Questa proposta, che ha i crismi della razionalità ed è in grado soprattutto di disinnescare ciò che oggi si rivela "un micidiale precedente alle superpotenze future" (p. 8), dovrebbe ovviamente implicare il coinvolgimento degli USA e delle altre potenze emergenti a livello mondiale, e vedere soprattutto un ruolo rilevante e decisivo dell’Unione Europea.

In conclusione, tale generosa fiducia di Habermas nella costruzione di un repubblica mondiale sembra scontrarsi duramente con le difficoltà della riforma delle Nazioni Unite, con la debolezza del modello politico dell’Unione europea e con l’ambiziosità stessa del progetto. E’ anche vero, però, che solo dalla forma ardita delle idee e dalla capacità profetica del pensiero e della teoria sono nate le istituzioni democratiche del dopoguerra che prima appartenevano solo al regno dell’utopia; non si può non essere d’accordo sul fatto che dalla medesima tensione ideale può nascere una costituzionalizzazione del diritto che metta fine al rischio incalcolabile dell’attuale unilateralismo americano.



Giovanni Silvestri


Viste 17589 - Commenti 0
Iscriviti
ed inizia a pubblicare i tuoi contributi culturali