l'evoluzione e l'incerto futuro dell'uomo

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 03/07/2007
<b>l'evoluzione e l'incerto futuro dell'uomo</b>

l'evoluzione e l'incerto futuro dell'uomo

SE ALL’ORIGINE NON C’E’ UN INTERVENTO DIVINO


di Luca e Francesco CAVALLI-SFORZA


C’è stato un tempo, nemmeno molto lontano, in cui era convinzione generale che tutto ciò che abbiamo intorno fosse esistito in forme fisse e immutabili da sempre: che le piante, gli animali, gli stessi esseri umani avessero avuto l'aspetto con cui li conosciamo fin dal momento della loro comparsa sulla Terra, per intervento divino. C'era stato anche chi nell’antichità, come Lucrezio, aveva affermato che molte varietà di esseri viventi ormai scomparse dovevano avere abitato il mondo in tempi assai lontani, ma erano affermazioni guardate con sospetto. Come potevamo sapere?
Dopotutto, le testimonianze delle civiltà del passato parlavano di uomini in tutto simili a noi e di animali ben noti. Il testo più antico che sì conoscesse allora, la Bibbia, diceva che sette giorni. erano stati sufficienti a dare forma al mondo e a tutto ciò che lo abita, compreso l'uomo.

Per secoli e per millenni, gli esseri umani avevano continuato a costruire sulle rovine dei loro predecessori. In Europa, i borghi medievali erano sorti sulle rovine delle città romane, e le città moderne sui resti dei centri medievali. Poi giunse la rivoluzione industriale e si cominciò a scavare, per costruire ferrovie e strade, fabbriche e palazzi. Vennero cosi ritrovamenti imprevisti. Quando furono portate alla luce le prime ossa di dinosauri, chiaramente diverse da quelle di ogni animale conosciuto, si disse che non potevano appartenere ad animali esistiti un tempo e in seguito scomparsi, perché era impensabile che Dio avesse creato una specie vivente per poi scoprire di essersi sbagliato e portarla all'estinzione.

Sempre ragionando in questo modo, quando furono ritrovate, nel 1856, le prime ossa di uomini di Neandertal, che sono molto più spesse e robuste delle nostre, furono attribuite a grandi scimmie o a patologie dell’apparato scheletrico umano.

Ma le scoperte proseguirono, e col tempo divenne impossibile negare che il pianeta era stato abitato, in un lontano passato, da una miriade di piante e di animali parecchio diversi da quelli che abbiamo intorno oggi, e anche da uomini di aspetto profondamente diverso dal nostro.

Nel frattempo, i geologi si erano resi conto, seguendo altre vie, che la terra doveva essere immensamente più antica dei seimila anni computabili in base alla Sacra Scrittura.
Si trovarono altri testi, ben più vecchi della Bibbia. Nel '700 si cominciò a stimare, per il pianeta, un'età di quasi cento mila anni, o maggiore ancora. Oggi parliamo di circa 4,5 miliardi di anni.

Fra il 1831 e il 1836, un giovane naturalista inglese, Charles Darwin, traversava il mondo su un su un brigantino della marina, britannica diretto a effettuare rilievi cartografici dell'America meridionale. Nel corso del viaggio ebbe modo di osservare una molteplicità di piante e di animali: ne raccolse campioni, li analizzo e si rese conto che le stesse specie, vivendo in luoghi separati e lontani l'uno dall'altro, avevano assunto caratteri differenti, che variavano a seconda di ciò di cui si nutrivano e dell'ambiente in cui abitavano. Ne derivò l'idea che le specie viventi cambino nel corso del tempo, sviluppando caratteristiche diverse, e che sopravvivano gli individui e le popolazioni che meglio riescono a procurarsi il necessario nutrimento e a riprodursi, risultando così meglio adattate all’ambiente in cui vivono. All'opposto, gli individui e le popolazioni che hanno maggiori difficoltà a crescere e a riprodursi tenderanno a scomparire, nel volgere delle generazioni. E’ l'ambiente, quindi, a compiere una selezione fra le diverse specie e fra le varie popolazioni e individui di una stessa specie. Poiché l'ambiente cambia di continuo; anche le caratteristiche dei viventi cambiano, nel corso del tempo.

Darwin chiamò questo processo selezione naturale. Non era ancora chiaro come nascessero questi cambiamenti, ma si sapeva che gli agricoltori e gli allevatori di bestiame selezionavano e incrociavano fra loro le varietà più promettenti di piante e di animali, per migliorarne la produttività e altre caratteristiche, operando un processo di selezione artificiale per molti aspetti simile a quello che in natura avviene spontaneamente. In Inghilterra, i due secoli precedenti a Darwin avevano visto grandi progressi in agronomia e zootecnìa.

Un altro naturalista inglese, Alfred Russell Wallace, che pure aveva lavorato a lungo in America meridionale, giungeva negli stessi anni a conclusioni analoghe a quelle di Darwin, benché, molto più giovane di lui, non le avesse sviluppate con ampiezza paragonabile. I tempi erano ormai maturi per introdurre l'idea che le specie non sono immutabili, e quando Darwin pubblicò, nel 1859, il risultato dei suoi studi, con il titolo Sull'origine delle specie per selezione naturale, l’opera andò esaurita in un giorno. Era nata la scienza dell’evoluzione. Suscitò controversie così vivaci da non essersi ancora spente oggi.

In che cosa consiste l’evoluzione? Oggi la definiamo come il cambiamento continuo ed inevitabile delle specie nel corso del tempo. E’ bene chiarire subito che "evoluzione" non significa necessariamente né "miglioramento" né "progresso": si sono osservati parecchi casi di regressione pura e semplice, nel corso della storia, e deviazioni che hanno dato origine a rami nuovi, inseguito scomparsi, anche in popolazioni della linea umana.

Evoluzione significa prima di tutto differenziazione progressiva.

Gli esseri viventi cambiano nel corso del tempo: compaiono forme nuove che possono coesistere a lungo accanto alle più antiche e che a loro volta vanno incontro a nuovi cambiamenti.
Basti pensare alla straordinaria varietà delle piante da fiore o degli uccelli, o dei dinosauri riportati alla luce negli ultimi duecento anni. L'evoluzione comporta quindi trasformazione e un aumento della varietà disponibile, a cui si accompagna spesso, ma non sempre, un aumento di complessità. Valga ad esempio l'estrema raffinatezza raggiunta da organi quali l'occhio o l'orecchio, nell'arco di centinaia di milioni di anni, o lo sviluppo del cervello umano, che ci rende capaci di pensieri e attività sconosciute ai tempi in cui i nostri antenati non avevano ancora imparato a usare il fuoco, o a rompere con pietre le ossa di animali per succhiarne il midollo.

All’opposto molti parassiti si specializzano assai, semplificando o perdendo le parti inutili e perfezionando quelle che permettono loro di attaccarsi ai loro ospiti e di penetrarvi. Una volta entrati, li costringono a moltiplicare i parassiti, a proprio danno, e a spargerne i figli all’esterno.

Evoluzione significa infine sviluppo di capacità di interazione con l’ambiente. E’ questo, in definitiva, a decidere del successo di una specie o della sua scomparsa. I grandi uccelli senz’ali della Nuova Guinea nella preistoria sono stati portati all’estinzione quando nel loro ambiente sono sbarcati uomini armati di lance di legno con la punta indurita al fuoco.
Alla stessa stregua, intere popolazioni umane sono scomparse quando nel loro ambiente sono penetrati bacilli, come i virus dell'influenza o del morbillo, contro cui non erano in grado di difendersi.

Cosa rende possibile l'evoluzione? La risposta semplicissima è: la vita stessa. Qual è la caratteristica principale della vita?
Non è il movimento: le piante sono vive ma non si muovono. Non è la complessità: un'auto è complessa e si muove, ma non è viva. Non è nemmeno la capacità di nascere, crescere e morire; anche una roccia "nasce", per esempio in un'eruzione vulcanica; un cristallo può crescere; e ogni cosa prima o poi ha fine. La caratteristica esclusiva della vita è l'autoriproduzione: la vita riproduce se stessa, se trova condizioni adeguate, e può assumere una enorme varietà di forme, come testimonia il mondo che abbiamo intorno. Anche un cristallo può formare copie di se stesso, in condizioni opportune, ma tutte avranno struttura identica al genitore. Un batterio ha struttura identica al genitore, ma nel corso delle generazioni può cambiare, e pur mostrando una complessità che nel cristallo non esiste continua a riprodursi quasi identico a se stesso, e simultaneamente ad evolvere.

Lo studio della vita ha fatto passi da gigante dai tempi di Darwin, e le ragioni e i modi del cambiamento oggi sono ampiamente noti. Ne parleremo nei prossimi articoli, perché si tratta degli eventi che rappresentano il motore stesso dell'evolu-zione. Non sappiamo ancora come la vita abbia avuto origine, né se sia sorta sulla Terra o sia venuta dallo spazio su di un meteorite. Se è sorta sulla Terra, deve esserci voluto parecchio tempo perché potesse comparire, perché la nascita della vita deve essere un evento estremamente raro. Questo non significa che sia apparsa solo qui; vuole solo dire che c'è stato un luogo e un momento in cui una stringa di molecole è riuscita ad agganciare alcuni atomi, alcuni pezzi da costruzione, nell'ambiente circostante, e ad organizzarli intorno a sé in modo da formare una copia esatta, una sorta di carta carbone, di se stessa.

C'è una riflessione che potrà disturbare chi non accetta che la vita possa avere davvero avuto origine da sola, ma vuole che sia sorta per un intervento esterno, extraterrestre, e che non abbia trovato da sé la sua strada, ma si sia sviluppata seguendo un piano preordinato, magari addirittura in vista di un finale già scritto.
E una semplice considerazione; se davvero la vita «ha fatto tutto da sola», cosa che non è dimostrata e forse non è nemmeno dimostrabile, ma è perfettamente compatibile con ciò che sappiamo, allora non si sa dove stiamo andando, non si sa cosa potremo diventare, nessun piano guida la storia della vita, e ciò che sarà dell'umanità e del pianeta su cui si è imposta come specie dominante dipende in larga misura dalle scelte che faremo. Portiamo con noi nella vita, insomma, piena responsabilità per ciò che siamo e per ciò che diventeremo.

Questa incertezza disturba il senso di sicurezza di molti, e li spinge a cercare una figura paterna che insegni e diriga, e dicendo loro dove andare li sottragga a questa responsabilità.

Ha fondamento questa aspirazione ad essere guidati? Nessuno può dimostralo, anche se molte menti eccelse ci hanno provato.
Ciascuno deve scegliere a cosa prestare fede al riguardo, ma negare che vi sia evoluzione significa rinunciare alla nostra capacità di ragionamento, e a tutto quanto sappiamo.


Tratto dalla pagina CULTURA del quotidiano “La Repubblica” del 27 giugno 2007.


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