Le Novene di dicembre

Radici & Civiltà

CONCIALDI RINO CONCIALDI RINO Pubblicato il 25/01/2008
<b> Le Novene di dicembre</b>
L’eventuale pubblicazione di parziali brani musicali allegati a testi scritti è fatta a titolo di Demo, essendo essa finalizzata a documentare la relativa ricerca della rubrica “Radici & civiltà” non avente scopo di lucro, ma, piuttosto, finalità di libera divulgazione culturale.

Le Novene di dicembre


Testo e voce narrante di Rino Concialdi

Le Novene di dicembre: religiosità, senso familiare o consumismo?


Il mese di dicembre era, una volta, il periodo in cui erano concentrate il maggior numero di Novene religiose. Il 1° dicembre ne iniziavano 3: quella dell’Immacolata che si concludeva l’8, giorno della festività; quella in onore di Santa Lucia, detta ”tredicina”, che si concludeva appunto il 13, giorno della festività della Santa; e quella a cui partecipavano soprattutto le giovani donne, motivate ad implorare la grazia di trovare marito. Infine, dopo il 13, quella di Natale.



Per le varie Novene, i devoti aliesi si raccoglievano nella chiesa alle quattro del mattino.


La chiesa era sempre gremita di fedeli, principalmente donne anziane, che ammantate “cu lu sciallu di lana niuru”, sfidavano il freddo invernale. Ma c’erano anche dei contadini i quali, dopo avere preso parte alla funzione, iniziavano con gioia la lunga giornata di lavoro.


Con la Novena di Natale si entrava nel vivo dei festeggiamenti Natalizi. Anche questa Novena veniva celebrata prestissimo alla mattina e tantissime erano le persone che, sfidando pioggia, vento e neve, si recavano in chiesa per assistere alla funzione.


Nella giornata del 7, vigilia della festa dell’Immacolata, nelle famiglie fervevano i lavori per la preparazione di ”li muffulietti”, una specie di focaccine di pane lievitato ripiene di ricotta e poi fritte; mentre nella giornata del 12, vigilia della festa di Santa Lucia, per tradizione e devozione si mangiava assieme a parenti ed amici la cuccìa, passando la serata a giocare a carte o a tombola.


La cuccìa è un frumento tenero (turca o maiorca) che viene messo in acqua per due, tre giorni.


I vari procedimenti della sua preparazione alla cottura prevedono perfino la battitura del medesimo alfine dello scorticamento della sua buccia superficiale e il suo strofinìo, cosiddetta “stricata”, su tegola, ovvero ”canali di crita”. Dopo la cottura, una volta, era usanza mettere il contenitore con la cuccia in mezzo alla paglia, e vi si lasciava tutta la notte, cosi continuava a cuocere ed a “scriscintari”, in tal modo la cuccìa diventava più digeribile e si evitavano le famose “addugghiati”.


Nell’ultima fase della sua preparazione, la cuccia si condisce con olio di oliva o, per i più golosi, con ricotta, zucchero, zuccata e cioccolato. Prima di mangiarla, era d’obbligo, una volta, recitare un padrenostro a Santa Lucia.


Festività religiose sì, ma, una volta, anche occasioni per riunire tutta la famiglia attorno ad un tavolo.


Altra caratteristica di questo periodo era la Novena che si faceva di porta in porta sulle note di violino e canti natalizi, cosi come era solito fare don Totò ”lu viulinaru” .


La vigilia di Natale si viveva nell’attesa esclusiva di partecipare in chiesa alla veglia di mezzanotte senza pensare all’organizzazione di cenoni, come oggi si usa fare.


L’unica distrazione e scaramantica tradizione profana era la famosa vampata accesa davanti alla chiesa, pur se osteggiata dall’allora zì Minicu, che non riusciva però a spuntarla contro l’insistenza di gruppi giovanili.


Questa tradizione perdura ancora oggi, anche se in maniera esagerata, (basta andare a vedere le foto della gradinata e del bastione del Santuario, sul sito di Assarca, per rendersi conto dello scempio e della distruzione che si crea ogni volta ..)


Al riguardo di tale abitudine ci sono tanti pro e contro, ma alla fine la questione si chiude con la frase ”lassàmu addivèrtiri li picciotti” !!!


Ma delle feste di allora che cosa è rimasto?


Secondo il comune giudizio prevalente, poco o niente.


Non c’è l’atmosfera di allora, a cominciare dalle feste e riunioni che si svolgevano in famiglia durante tutto il periodo Natalizio.


Oggi stiamo bene di salute e di tasca, il consumismo imperversa e certe usanze cosiddette “barbare” non si usano più. Guai a fare feste in casa, oggi si va a fare il cenone di Natale e Capodanno nei ristoranti, meglio se tanto lontani dalla propria residenza.


Ormai le grandi abbuffate sono un rituale e guai a non farle: il fegato si potrebbe ribellare!..


Oggi, tutto è cambiato, bisogna far vedere che c’è più festa fuori che dentro di sè. Allora ecco gli addobbi, le luminarie per le strade, fiori e piante, tappeti e tutto quanto è espressione del consumismo.


Con l’evolversi dei tempi e con i vari lavaggi di cervello, che continuamente subiamo, si sono persi tanti usi e costumi della tradizione e con essi anche tanti valori.


Le amicizie vere sono finite, niente riunioni in famiglia o con parenti ed amici. Ormai le feste sono diventate occasione di svago, banchetti, sperpero di denaro ed egoismo; non si aspettano più le festività religiose per “santificarle” con la devozione e con la partecipazione. Si preferisce prenderne spunto per vivere momenti di mondanità e di solitarie rilassatezze.


Come si suol dire: “Ognuno per sè e Dio per tutti”.


Rino Concialdi



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