I FULANI o WODAABI

Radici & Civiltà

DITTA ANNA DITTA ANNA Pubblicato il 27/04/2011
<b>I FULANI o WODAABI</b>

I FULANI o WODAABI




BORORO o WODAABI


Sono un ramo dell’etnia dei FULANI e occupano attualmente tutta l’Africa occidentale, dal Senegal al Camerun. Il mistero dell’origine dei Fulani è tutt’ora in discussione; sembra che siano emigrati secoli fa dall’Egitto, ma non è certo. Di fatto i loro caratteri somatici dicono che essi non sono dei negri; infatti sono di statura piuttosto alta, hanno la pelle di color bronzo chiaro, capelli lisci o leggermente increspati, naso e labbra sottili.

Originariamente allevatori e pastori nomadi si convertirono all’islamismo, e si deve a loro la diffusione dell’Islam in Africa, grazie ai loro spostamenti con gli armenti.

Molti Fulani in seguito sono diventati sedentari, ma un ramo di loro i Bororo o Wodaabi non hanno accolto l’Islamismo e hanno mantenuto la cultura originale. Sono rimasti allevatori nomadi e con i loro armenti, formati da montoni, capre, zebù e dromedari , praticano tuttora la transumanza, convivendo pacificamente con altre popolazioni alle quali forniscono prodotti caseari in cambio di prodotti agricoli e oggetti tradizionali.

Un proverbio BORORO dice:” La dignità è come l’olio, una volta che l’hai versato non lo puoi più recuperare”. Per cui la loro ferrea condotta morale è il PULAKU, che si basa sulla vergogna, il ritegno e la dignità. Per allenarsi a questa virtù, il pastore bambino si vede affidare la custodia delle mandrie, e di notte nella savana deve vincere la paura e contrastare gli attacchi degli sciacalli e delle iene, pena la vergogna di essere additato come pauroso.

I BORORO non possiedono una casa, non hanno mai una fissa dimora, essi hanno nel sangue il richiamo dei grandi spazi. Quando scelgono il posto in cui accamparsi, puliscono una parte del terreno dalle stoppie e le donne preparano la capanna cupoliforme, costruita con rami curvi e ricoperti da pelli o stoffe. Sono abitazioni pratiche che riparano dal vento e sono facilmente smontabili, infatti la vita nomade non permette loro il possesso di molti beni materiali perché ne limiterebbe gli spostamenti. L’arredamento delle capanne consiste in stuoie che servono da letto, o un letto a piedi alti, e un corredo di vasellame e di calebasse, sono delle mezze zucche svuotate e decorate e costituiscono il corredo delle donne che viene tramandato da madre in figlia.

Nel periodo delle piogge, che di solito è il mese di settembre, la mandria va guidata fino alle terre salate ricche di erbe medicinali che aiutano le bestie a reintegrare i sali minerali e a depurarle. E’ il momento in cui si svolge il GEROWOL o festa della bellezza. E’ l’occasione in cui tutti i clan sparpagliati per la savana si riuniscono e i giovani si sfidano danzando ai concorsi di bellezza per conquistare le ragazze. La difficoltà per gli estranei è come trovare il loro punto d’incontro perché non vogliono estranei e non c’è mai una data o un luogo preciso. Ma una volta stabilita la data e il luogo, la notizia si sparge fra i vari clan che accorrono con tutte le loro mandrie.

Uomini e donne BORORO curano molto il loro aspetto ma l’attenzione alla bellezza del corpo raggiunge il culmine in occasione del GEROWOL che dura 5 giorni. Il GEROWOL o festa della bellezza consente alle ragazze di scegliere il proprio uomo, marito o amante ed è l’unico momento dell’anno in cui anche le donne sposate se non sono soddisfatte del marito possono cambiarlo anche per una notte.

I giovani maschi si agghindano e si truccano per ore , e aiutandosi con un piccolo specchietto, mettono in risalto i sottili lineamenti del viso, l’espressione dolce, il naso diritto e sottile, la bocca delicata e i denti piccoli e bianchissimi, si tingono di nero le sopracciglia e gli occhi, che vengono sgranati continuamente per far risaltare la cornea, tingono le labbra di scuro, anche con il contenuto delle pile scariche, cosi’ ne evidenziano i denti che mettono in risalto con un sorriso ostentato, e attorno alle labbra vengono dipinti motivi triangolari e punteggiati. Sul naso tracciano una linea per assottigliarlo, il volto è reso brillante spalmandovi del burro. Indossano un copricapo decorato con strisce di cauri (conchiglie) e da una piuma di struzzo. Inoltre arricchiscono il loro abbigliamento indossando una tunica decorata da ricami.

Dopo la preparazione lunga e laboriosa si svolge la danza chiamata YAAKE; i ragazzi prima di iniziare prendono una bevanda stimolante che permette loro di danzare anche tutta la notte. Guidati da un anziano si mettono in riga e muovono i piedi al ritmo della danza, battendo le mani e cantando, mentre le donne stanno a guardare e selezionano tranquillamente i loro futuri mariti o amanti. Ad un certo punto della danza alcune ragazze si avvicinano ai gareggianti posti a semicerchio e si inginocchiano al centro dello schieramento senza parlare. L’anziano allora le invita ad alzarsi ed a uno a uno le ragazze sollevano il braccio indicando il giovane preferito. La sera le giovani coppie formatesi si appartano.

Bellissima esperienza vivere insieme questo momento. Montare il campo vicino al loro, e accoglierli nel nostro, girare nella loro quotidianità, soddisfare le reciproche curiosità che erano tante. Le nostre “capanne “più confortevoli avevano materassini dentro e i bimbi invadendo la mia tenda si divertivano a saltarci sopra. Avevo sempre dei regalini per loro che li rendevano felici. Una bimba era sempre nella mia tenda ed in braccio ad Achille, le si rannicchiava tra le braccia come se fosse un parente. L’ultimo giorno è venuta accompagnata dalla mamma che sorridendo ci regalò una collanina dicendo che era un regalo della bimba. Che emozione !

Che bello girare tra le loro tende, sentirsi tirare per la mano perché era nato un bimbo e volevano che lo vedessi, oppure mi toglievano gli orecchini, “due cerchi d’oro” molto più piccoli dei loro, per infilarci dei ciondoli di plastica che usavano per l’occasione e poi rimettermeli felici. Preparare la cena per il gruppo e vedersi arrivare del latte e dello yogurt mandato dal capo, o della carne appena macellata per l’occasione. Uscire la mattina dalla tenda ed assistere al miracolo del sole che sorge nella savana e fare i loro stessi gesti come accendere il fuoco, mettere l’acqua sopra, ordinare la tenda, scambiarci saluti.

Eravamo integrati perfettamente nel loro campo e ne facevamo parte. Poi notai che le donne mi salutavano in uno strano modo, mi prendevano la mano all’altezza del polso e la lasciavano scorrere, specialmente nella parte interna , e ridevano. Ne ho capito il significato dopo qualche giorno. “Mi avevano trovato marito”. Infatti le mie mani abituate a lavorare in campagna avevano qualche callosità, perfette per lavorare il miglio con il loro pestello alto circa un metro e mezzo e pesantissimo. La sera poi si continuava ad assistere alle danze al chiarore dei falò, e si veniva coinvolti, perché le ragazze ti prendevano per mano e ti trascinavano nelle danze, e protette dalla poca luce dei falò, ti toccavano le braccia, le spalle per la curiosità che suscitava La nostra pelle bianca. Mischiare insieme polvere e sudore e vivere la loro stessa felicità, dimentichi delle nostre occidentali paure , ansie, nevrosi. Andare a dormire stanchi ma certi di avere vissuto una esperienza indimenticabile. E l’Africa con le sue emozioni, i suoi colori, i suoi odori, e i suoi tramonti ancora una volta è nei nostri cuori.

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scrive Claudio Tomatis in “Il mare di Giada”:
“Per capire l’Africa, per amarla per poterla fronteggiare, per poterne essere all’altezza, per viverla giorno per giorno senza esserne sconfitti c’è un unico passaggio obbligato: Occorre svestirsi del proprio Abito Sociale, della propria Cultura Tecnologica, delle proprie Certezze Tecniche, occorre lasciare tutto ciò come un necessario pedaggio da pagare e inoltrarsi, lungo un cammino di vita, vestiti solo del proprio essere Uomini.”

Per noi forse è un po’ difficile mettere in pratica queste parole, ma non impossibile…..

Anna Ditta


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