I Dogon

Radici & Civiltà

DITTA ANNA DITTA ANNA Pubblicato il 01/08/2011
<b>I Dogon</b>

I Dogon

I Dogon vivono nel Mali sparsi nei numerosi villaggi della Falesia di Bandiagara, zona dichiarata “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco per la sua unicità culturale. La falesia di Bandiagara è una parete rocciosa dell’altezza di 400 metri che attraversa il Sahel per oltre 200 km a sud di Tumbuctù.

I Dogon sarebbero i discendenti di un’antica popolazione di nomadi originari del Mandè , da cui fuggirono attorno al X secolo per salvare la loro identità culturale dall’avanzata dell’Islamismo.

Si insediarono in villaggi sul bordo dell’altopiano e nella vallata sottostante scacciando i Tellem, la troglodita popolazione che abitava le grotte della parete verticale della Falesia, usate oggi dai Dogon come necropoli.

Nella cultura tribale africana dei Dogon , le tradizioni sacre più segrete sono basate su ipotetici contatti con esseri evoluti proveniente da un pianeta della stella Sirio, avvenuti prima del 3000 a.C. Solo pochi anni fa la moderna astronomia con i suoi potenti strumenti ha potuto confermare l’effettiva esistenza di quel pianeta.

I Dogon sanno da secoli che Sirio è una stella multipla e che l’orbita ellittica della stella più piccola invisibile detta Sirio B, richiede un tempo di 50 anni per essere completata; inoltre per loro Sirio B è costituita da materia più pesante della stella principale; tutto è confermato dalla moderna astronomia.

Le loro conoscenze cosmiche sono incredibili, infatti oltre alle conoscenze sulla stella Sirio dicono che la luna è arida e priva di vita, e disegnano Saturno circondato da un anello invisibile ad occhio nudo. Sanno delle lune di Giove e che i pianeti ruotano intorno al Sole, e che la Via Lattea ha una struttura e movimento a spirale.

Si pensava che queste conoscenze fossero state apprese attraverso i missionari, o tramite viaggiatori interessati all’astronomia. Perché nessuno reputava i Dogon tecnicamente all’altezza di simili conoscenze.
Ma a ribaltare questa credenza ci pensò Marcel Griaule che nel famoso libro “Il Dio d’acqua” del 1948 raccontò l’iniziazione ricevuta dall’Ogotemmeli, personaggio che gli aveva trasmesso i segreti della cosmologia della mitologia Dogon, ,rivelando così alla cultura europea un mondo misterioso e affascinante.

Marcel Griaule studiò la religione e la mitologia per 16 anni prima che i saggi della tribù lo iniziassero ai loro segreti. E dopo anni di insegnamento si rese conto che era assolutamente impossibile che le loro conoscenze e le loro leggende mitologiche fossero la conseguenza di un incontro con missionari o studiosi. Piuttosto è una mitologia che si è formata e sviluppata nel corso di migliaia di anni.

Il loro dio principale è Amma il dio supremo, egli creò il cielo,l’acqua, le nuvole. Creò la terra con un corpo di donna, e l’acqua , seme divino, penetrò nel grembo della terra e nacque Nommo, abbozzo di due esseri anfibi gemelli.

L’Hogon (il capo spirituale) gode tra i Dogon alta venerazione, egli è il tramite con Dio, è il padrone del fuoco e del sole, deve evitare il contatto con il suolo perché brucerebbe le messi, per questa ragione mentre il popolo va a piedi nudi egli deve essere sempre calzato.
I Dogon sono coltivatori di miglio e di cipolle sono abili fabbri e scultori. Hanno una religione animista che si esprime in cerimonie e danze rituali.

Il loro culto principale è quello delle maschere, che sono il simbolo religioso più espressivo della fede che è strettamente legato alla morte. La Maschera cattura delle forze spirituali che libere sarebbero pericolose, per questo motivo il danzatore prende delle precauzioni; scolpisce lui stesso la maschera e prima di indossarla fa astinenza specialmente sessuale, si purifica o compie un sacrificio.

Le maschere vengono custodite in una capanna dove possono entrare solo i sacerdoti della società delle maschere.

La pianta dei villaggi rappresenta schematicamente la figura del corpo umano: La testa è costituita dal TOGU-NA, la casa della parola, una bassa tettoia sostenuta da pilastri scolpiti dove l’Hogon (il capo spirituale) e gli anziani si ritrovano per discutere le questioni importanti del villaggio. Il tronco e gli arti sono occupate dalle case di fango con i relativi granai, dal caratteristico tetto di paglia di forma conica. Le mani sono rappresentati dalle case delle donne mestruate, situate ai due estremi del villaggio. In basso c’è l’altare, dalla caratteristica forma fallica.

I Dogon, ma non solo loro, credono che ogni bambino nasca con i due sessi, con il prepuzio che è segno della natura femminile nei maschi, e il clitoride segno della natura maschile nelle femmine. Solo al sopraggiungere della pubertà, dopo l’escissione e la circoncisione, i ragazzi diventano membri della società a pieno diritto essendosi liberati della doppia natura sessuale.

Indimenticabile il trekking tra i villaggi Dogon. Lasciati dai mezzi sull’altopiano, iniziammo la ripida discesa superando pietraie, gallerie di vegetazione, archi naturali di rocce, qualche tratto sul sedere, finchè dopo tanta fatica si arriva nella pianura sottostante.

Nei giorni successivi per evitare le ore più calde si partiva all’alba e ci si fermava quando il sole non era ancora alto, cercando rifugio all’ombra dei Togunà. Lì i locali ci raggiungevano portandoci dell’acqua che essi avevano raccolto con tanta fatica. Avvicinandoci ai villaggi nugoli di ragazzini ci venivano incontro facendoci festa e con tanta pazienza ci toglievano dai bordi dei pantaloni e dai lacci delle scarpe delle palline secche molto spinose (cran cran), tipo quelle che si trovano nel vello delle pecore. Quelle spine c’è le trovavamo ovunque la sera. I villaggi si visitavano accompagnati da un locale, perche erano tanti i posti sacri e vietati, soprattutto alle donne mestruate perché impure.

Bellissima la danza che ci hanno offerto un un villaggio. Con i tam tam dei tamburi, gli uomini che lavoravano nei campi sono stati richiamati al villaggio, e dopo lunga preparazione, finita la vestizione , sotto un sole rovente iniziano una danza dove tutte le loro credenze mitologiche prendono vita attraverso le varie maschere. Gli anziani in quell’occasione parlano un’antica lingua comprensibile a pochi.

Una scena che non dimenticherò mai l’ho vissuta una sera mentre preparavo la cena nel nostro campo: Pelavo le patate, facendo cadere le bucce a terra per fare una minestra e reintegrare i liquidi perduti durante la giornata, al solito circondata da bambini che seguivano tutte le mie mosse. Finito di pelare mi accingo a fare qualcos’altro, e vedo che i bambini sicuri ormai che io non ero interessata alle bucce si sono buttate su queste mangiandole a due mani. In quel momento tante sono le immagini che ti scorrono davanti agli occhi: i capricci dei nostri bimbi a tavola, il pane buttato, gli spaghetti rimasti , nella spazzatura, lo spreco vergognoso che facciamo senza nessun ritegno, le lacrime ti spuntano anche se vuoi trattenerli. Quella sera come tante altre sere a cena avevamo compagnia.

Sono passati parecchi anni da allora, la vita dei Dogon sarà cambiata. Il turismo avrà fatto del bene, ma anche del male. Sicuramente non si dormirà più in tenda, l’accesso ai loro villaggi sarà più comodo, ci sarà qualcuno che parlando diverse lingue accompagnerà i turisti. I ragazzi saranno un po’ meno genuini perché il turismo avrà fatto vedere loro il miraggio del benessere. Però sicuramente ci sarà più sanità e più istruzione. Mi auguro che la loro cultura, tramandata oralmente per secoli, continui a passare da generazione in generazione non come fonte di guadagno con i turisti, ma come parte della loro identità, del loro essere uomini.



Anna Ditta

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Annotazioni del viaggio in Malì - 1984 -


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