LE VECCHIE TAVERNE, A LERCARA FRIDDI : PUNTO DI INCONTRO E RITOVO DEI MINATORI
Ne abbiamo contate quindici, ma potevano essere di più, i punti vendita del vino al minuto dove i nostri minatori passavano delle ore in compagnia, bevendo un "quartino" e gustando qualche piatto di trippa o fave bollite.
Le bettole o taverne d`un tempo. mostravano quasi sempre un ramo di alloro appeso all`entrata ed una lampada che ne segnalavano il luogo di ristoro. Non sappiamo quante ne potevano contare in quei tempi anche altri paesi, ma per Lercara era certamente una fonte di commercio.
Si suol dire : "in vino veritas" ma, in verità, per i frequentatori delle taverne era questo un modo per dimenticare la dura fatica del lavoro.
Di taverne, di avventori e "abituè", si potrebbero narrare storie e storielle a non finire, considerato che nessuno usciva dritto e tranquillo sulle proprie gambe. I gestori dei locali facevano ovviamente di tutto per accontentare la loro clientela, a dir il vero, senza molte pretese, specie dopo aver ottenuto il loro quarto o mezzo litro.
Infinite storie si narrano su quanto accadeva in quei posti. Ci piace ricordare. ad esempio. del Sig. Luigi Giangrasso. abitante nella via Costantinopoli, il quale teneva una di queste locande del tempo. in un piano terra della sua abitazione.
Questa era solitamente frequentata da minatori e carrettieri abitanti del rione. Le comitive che sedevano attorno ai tavoli erano solite dare l`incarico delle ordinazioni ad uno di loro, che sulla base della disponibilità giornaliera, ordinava: trippa. brodo, babbaluceddi o piede di porco bollito.
Su chi ordinava solitamente ricadeva l`onere dell`impegno del "futuro pagamento", difatti quasi sempre chi ordinava non aveva i soldi per pagare, ma si impegnava a nome e per conto degli altri. Di contro, lo zio Luigi, appuntava al muro ad un calendario o su di un pezzo di carta oleata, il debito del suo cliente. La cosa tragicomica era che un certo Don Ciccio, affezionato cliente, quando la somma da pagare diventava un po` alta, si appoggiava al muro con le spalle e non facendosi notare ne cancellava alcune cifre.
La domenica, giorno di paga per i minatori, dopo la solita bevuta, lo zio Luigi chiamava gli avventori ai loro impegni, pretendendo il saldo del conto.
Quasi sempre il resoconto era ritoccato e non solo quello di Don Ciccio, al quale provvedeva personalmente ad un ritocco, ma, ad esempio il brodo veniva scalato, conteggiandone solamente i vari pezzetti di carne con l`osso. Le discussioni qui nascevano e si infuocavano allorché allo zio Luigi si rimproverava di mettere più osso che carne nel brodo.
Ma le storie di taverna non finiscono qui, avendo memoria di innumerevoli storielle che racconteremo in altre occasioni.
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Testo tratto dal numero unico Autunno 2011 di"Cartastampata" - Associazione socio-culturale di Lercara Friddi'>Lercara Friddi
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