Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) II^parte

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 09/09/2005
<b>Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)</b> II^parte

Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) II^parte

Emigrazione verso gli Usa
Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)


Tesi di laurea della dott.ssa Cristina Guccione.

II^parte

CAPITOLO I




ASPETTI E PROBLEMI DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA VERSO GLI STATI UNITI


1.- Approccio storiografico e sociologico a confronto

Più fonti rivelano che la letteratura sull’emigrazione transatlantica dall’Italia, negli anni tra il XIX e il XX secolo, è condotta con varie metodologie di studio e caratterizzata da diversi approcci. È noto, come fino agli anni 70’ la sociologia italiana abbia prestato al fenomeno poca attenzione limitandosi ad una raccolta numerica che classificava gli emigranti per regione, età, sesso…etc.

La scienza sociale, convinta che l’emigrazione, già spiegata e interpretata dagli storici, non potesse offrire altri spunti importanti per la propria analisi ha colto solo più tardi quanto potesse dare lo studio del rapporto tra emigrazione e struttura economica e sociale e, quindi, l’importante ruolo dell’emigrazione nei processi di modernizzazione.

Oggi gli studi più recenti del fenomeno migratorio presentano un approccio micro-analitico che, attraverso l’osservazione diretta e l’uso delle fonti locali, permette l’analisi di un area o di una comunità particolare. Esso è, però, limitato, nella sua applicazione, all’emigrazione più recente. Grandi problemi sorgono quando si guarda all’emigrazione più remota del post unificazione; tale periodo si presta piuttosto ad un approccio macro-analitico, in particolare quando si considera il Sud dove il fenomeno assunse le forme più diverse.
Volendo focalizzare i diversi approcci alla storia dell’emigrazione italiana in America si possono distinguere tre tendenze principali:
-

    la tendenza storica
    - la tendenza strutturale
    - la tendenza socio-antropologica


a) - La tendenza storica

Il primo approccio efficace al fenomeno in questione è quello storico i cui studi vertono sulla situazione di fatto, politica ed economica dell’emigrazione negli anni che seguirono l’unificazione italiana.
Gli storici, in particolare, sottolineano l’impatto che un’ «unificazione rapida e burrascosa» ebbe nel meridione dove gravavano i problemi irrisolti del latifondo ed esplodevano quelli provocati dal fenomeno della piemontesizzazione. Alla ribellione contro i proprietari terrieri (che si espresse nel brigantaggio) seguì un movimento migratorio, segno di protesta e della sfiducia dei contadini per il nuovo governo. Successivamente una sinistra al potere che, ricorrendo a pesanti dazi doganali, favorì lo sviluppo industriale del nord danneggiando ulteriormente l’economia del sud .
Cosicché l’emigrazione del sud caratterizzata da miseria e disperazione si presentò molto diversa da quella del nord i cui attori si recavano all’estero per utilizzare le proprie capacità e la propria competenza per poi tornare in patria.
Altro aspetto riscontrato nel fenomeno dal filone storico riguarda i vantaggi che derivarono dalla migrazione di massa: allentamento della pressione demografica, il miglioramento delle condizioni di vita degli agricoltori rimasti.

b) - La tendenza strutturale

Tale tendenza si esprime negli studi che mettono in relazione il fenomeno migratorio con le strutture in generale e con la struttura economica in particolare. Questo tipo di analisi la cui impronta è di tipo marxista e gramsciano, vede nello sviluppo del capitalismo in campagna la creazione di un proletariato su un sistema feudale esistente. I contadini violentemente tagliati fuori dal processo produttivo nazionale sono costretti ad emigrare .
Altra struttura, oggetto di studio, è quella demografica. Analizzando la connessione tra agricoltura, struttura sociale e tasso di natalità Delille fa rilevare come l’emigrazione abbia diminuito il tasso di natalità, che se combinato con un aumento della produttività, ha elevato le condizioni di vita. Gli altri studiosi sono più o meno d’accordo con la posizione di Delille. Tuttavia bisogna sottolineare che l’approccio strutturale ha reso lo studio del fenomeno più sociologico ed esplicativo.

c) - La tendenza socio-antropologica

La tendenza socio-antropologica è quella che, basandosi sul metodo micro-analitico, ha ricostruito la storia sociale dell’emigrazione avvalendosi delle fonti più svariate tra le quali anche l’osservazione diretta. L’emigrazione, vista qui da due prospettive diverse, viene diagnosticata nelle sue dimensioni reali e nelle sue caratteristiche locali. I modelli di riferimento sono le analisi delle condizioni socioculturali di alcuni comuni in cui si è riscontrata un’emigrazione più forte dovuta spesso all’identificazione tra miglioramento economico ed interessi della famiglia. Studi come quelli di F.Piselli nel suo libro Parentela ed emigrazione (Einaudi, Torino 1891) rilevano il carattere antropologico dell’emigrazione.

Il tipo di struttura familiare si manifesta strettamente collegato al tipo di economia e alla mobilità interna di molte comunità del meridione.
Altri studiosi, quali Emilio Franzina raccolgono e studiano lettere di contadini veneti emigrati in America. Da qui, subito si riscontra come ai legami affettivi dei primi tempi si sostituiscono poi interessi e preoccupazioni più materiali (eredità, crediti, sussidi…) .

Altro romanzo da ricordare è L’emigrazione in Friuli di Caterina Percoto, un manoscritto incompiuto rielaborato da Rosanna Caira Lumetti. Si tratta di un progetto letterario in cui la scrittrice da una parte analizza criticamente la drammatica trasformazione delle campagne friulane, dove la crisi della società patriarcale preoccupava i ceti possidenti; dall’altra, denuncia i disinganni di un America vista come un paradiso terrestre, le speranze e le aspettative di chi scriveva le lettere, «le disillusioni e le contraddizioni di chi in America era andato a star male» .

C’è chi nei suoi studi utilizza la testimonianza orale, tra questi Jerre Mangione che ha ricostruito la vita di una famiglia di emigrati siciliani nel loro adattamento e integrazione nella società americana.
Nessun metodo, di se stesso, si è manifestato e si manifesta esauriente. Un indagine complessa, come quella sull’emigrazione, richiede l’adozione di più metodi a secondo dell’aspetto da esaminare. Ciò, ovviamente, non toglie che ce ne possa essere uno prevalente, che è quello proprio che lo studioso per la sua formazione o per gli obiettivi in programma ritiene essere più efficace.

2. L’immigrazione intellettuale (1738-1871)

La prima tappa dell’emigrazione italiana negli Stati uniti va dalla fondazione della Repubblica americana nel 1783 al 1861 data dell’Unificazione dell’Italia.
Molti di quelli che sono considerati i Pionieri erano per lo più intellettuali ovvero appartenenti alle categorie professionali tipiche italiane. Giunti nel nuovo continente si concentrarono soprattutto nel Nord-Est e nella bassa valle del Mississippi. Le loro intenzioni furono subito quelle di rimanere, continuando le attività proprie di commercianti, artisti, musicisti ed insegnanti.

Tutte professioni che avevano già svolto in Italia e che permisero loro di affermarsi nel paese ospite guadagnando una benevole tolleranza. L’America, più di ogni altro paese necessitava delle competenze professionali e delle abilità artistiche dell’Europa. Fu così che si affermarono i fratelli Piccirilli scultori e scalpellasti e il pittore Costantino Brumidi considerato il «Michelangelo del Campidoglio degli Stati Uniti». Altro italiano di spicco fu Luigi Palma, direttore del MOMA, fece del museo newyorchese il centro propulsore dell’arte italiana attirando scultori e architetti italiani chiamati in America per far fronte alle esigenze edilizie del grande sviluppo urbanistico americano.

Oltre che nel campo artistico, il contributo italiano riscosse successo nel campo scientifico e musicale. Il Presidente Jefferson fu un grande ammiratore dei musicisti italiani al punto tale da far reclutare alcuni di loro per formare nell’ambito delle forze armate la prima banda musicale americana, dalla quale nacque in seguito la famosa banda della marina degli Stati Uniti.
Tra gli intellettuali immigrati bisogna poi ricordare i rifugiati politici arrivati nel 1849 in seguito ai moti mazziniani del 1848. Gli USA furono per loro un rifugio sicuro da cui continuare ad osservare la situazione politica della madre patria, talvolta anche organizzandosi con l’intento di ritornarvi e lottare per l’unificazione .
Dapprincipio tali gruppi politici non furono ben accolti dagli americani che videro considerare il loro paese come un luogo cui deportare persone indesiderate altrove e dalle attività sovversive. La stessa chiesa americana non condivise l’ospitalità data ad anticattolici, sostenitori di Mazzini e Garibaldi.
Alla seppur «benevola tolleranza» si aggiunse, poi, una infelice integrazione degli intellettuali italiani nella cultura e società americana. Condizionamenti e pregiudizi caratterizzarono il comportamento di questi immigrati creando loro non poche difficoltà.

Una di queste fu l’apprendimento della lingua inglese, tanto per gli analfabeti quanto per gli intellettuali. Essi continuarono a svolgere le loro attività come continuarono a parlare la lingua madre o le lingue morte. Bisognerà aspettare fino agli anni venti dello scorso secolo affinché intellettuali, figli di immigrati, rivestano ruoli di prestigio e svolgano professioni come quella di avvocato o magistrato, per le quali la padronanza della lingua inglese era necessaria. Tra i Pionieri le fonti ricordano Joseph Sirica che occupò dopo gli anni venti le massime cariche della magistratura e Peter Giannini fondatore della più grande banca americana .
Altre categorie di professionisti vennero richieste per sopperire ai bisogni delle comunità italiane cui necessitavano dottori che parlassero in italiano. Paradossalmente, la conoscenza della lingua inglese sembrava non essere necessaria!

(1871-1897)

Intorno alla seconda metà del XIX secolo, il movimento migratorio assunse la consistenza di un vero e proprio fenomeno di massa. Nonostante soltanto nel 1876 si cominciò a rilevare l’emigrazione con regolarità, tra il 1869 e 1875 si registra una media annua di 123.000 persone che lasciano l’Italia per raggiungere altri lidi quali l’America. Nei primi venti anni Argentina e Brasile assorbono la maggior parte dell’emigrazione transoceanica ma dal 1887 favorevoli condizioni del mercato del lavoro nel Nord America fanno raddoppiare la media annua complessiva di immigrati italiani negli USA .

Dapprincipio, ad emigrare sono soprattutto gli abitanti delle regioni settentrionali. Le liste di bordo in cui veniva registrato il comune di provenienza di ciascun passeggero, permettono di quantificare statisticamente il contributo che ciascuna regione ha dato al fenomeno migratorio verso le Americhe.

Lo storico Ercole Sori, 1979, parla a questo proposito di una «marcatissima specializzazione regionale dei flussi migratori per paesi di destinazione» .
Dalle statistiche più o meno attendibili si evince che nelle regioni meridionali il fenomeno fu per lungo tempo poco rilevante. Causa di ciò erano sicuramente l’isolamento e l’attaccamento di queste popolazioni ad una vita esclusivamente basata sull’agricoltura e sui legami patriarcali della famiglia.
Nella tavola sotto, riporto la distribuzione dei connazionali sbarcati negli Stati Uniti tra il 1880 e 1897 per regione di provenienza secondo i dati del Balch Institute di Philadelphia, 1985:

Regioni di provenienza :

    Piemonte-Valle d’Aosta:781, di cui 612 maschi e 169 femmine.
    Liguria: 1.069, di cui 782 maschi 314 femmine. .
    Lombardia: 952, di cui 773 maschi e179 femmine. .
    Trentino-Alto Adige: 178, di cui 123 maschi e 55 femmine. .
    Veneto: 478, di cui 360 maschi e 118 femmine. .
    Friuli-Venezia Giulia: 164, di cui 143 maschi e 21 femmine. .
    Emilia Romagna: 1.140, di cui 834 maschi e 306 femmine. .
    Toscana: 1.151, di cui 890 maschi e 261 femmine. .
    Marche: 178, di cui 151 maschi e 27 femmine. .
    Umbria: 241, di cui 191 maschi e 50 femmine. .
    Lazio: 687, di cui 576 maschi e 111 femmine. .
    Abruzzo e Molise: 6457, di cui 5.499 maschi e 58 femmine. .
    Campania: 13238, di cui 10.439 maschi e 2.799 femmine. .
    Puglia: 1.395, di cui 1.117 maschi e 278 femmine. .
    Basilicata: 4.025, di cui 2.688 maschi e 1.337 femmine. .
    Calabria: 5.240, di cui 4.426 maschi e 814 femmine. .
    Sicilia: 6.588, di cui 4.643 maschi e 1.945 femmine. .
    Sardegna: 253, di cui 201 maschi e 52 femmine.

      TOTALE parziale: 44.242, di cui 34.448 maschi e 9.794 femmine. .
      In particolare, provenienti dal Mezzogiorno: 37.196, di cui 29.013 maschi e 8.183 femmine. .
      In più: 12.026, di cui 9.180 maschi e 2.846 femmine di provenienza ignota. .


      TOTALE generale del dato nazionale: .
      56.268, di cui 43.628 maschi e 12.640 femmine. .


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