Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) V^ parte

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 10/09/2005
<b>Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)</b> V^ parte

Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) V^ parte

Emigrazione verso gli Usa
Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)

Tesi di laurea della dott.ssa Cristina Guccione.

V^parte

CAPITOLO II


In appena 50 anni, si avrà, come si è detto, un altro consistente raddoppio demografico. Dai censimenti è facile rilevare, qua e là, le prime conseguenze dell'emigrazione. A tal proposito sono abbastanza eloquenti i dati rilevati nel 1907 dal pubblicista aliese Ciro Leone Cardinale nella voce Alia, scritta per il Dizionario illustrato dei comuni siciliani a cura di Francesco Nicotra. Tali dati riguardano, appunto, la popolazione aliese secondo i risultati dei censimenti. Li riportiamo di seguito mettendo tra parentesi l'anno di riferimento: abitanti 5.499 (anno:1861), 4.566 (1871), 6.297 (1881), 6.045 (1901).

L'oscillazione demografica nel quarantennio 1861-1901 è evidente. Tra il 1861 e il 1871 si registra una perdita complessiva di 933 individui, mentre dal 1871 al 1881, certamente per un rimpiazzo di manodopera agricola col sistema della colonizzazione, si ha un incremento di 1.731 unità, che subiscono la flessione di 252 nel ventennio successivo. Ad attribuire all'emigrazione la causa del mancato sviluppo demografico di Alia, così come si era attestato sin dalla fondazione del comune è lo stesso Ciro Cardinale, che così scrive: Per effetto della continua emigrazione di abitanti la popolazione decresce. L' emigrazione è per gli Stati Uniti d'America (New York, New Orleans, Pensylvania, Colorado, California ecc.) dove dimorano più di tremila aliesi . La nota di Leone Cardinale, scritta nel 1907, ha valore di testimonianza per il nostro lavoro. Ed è impressionante quella cifra di tremila aliesi, i quali, durante il sessantennio precedente, prima singolarmente e poi in massa, presero la via degli Stati Uniti d'America. Da allora sarà una cifra in costante crescita sino a triplicare dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Rimane una dolce, svanita immagine quella che nel 1866, in un discorso ufficiale passato alla stampa, aveva dato del paese il senatore Andrea Guarneri. La città di Alia, signori, nel brevissimo corso di due secoli, - aveva detto il parlamentare -ha saputo trasformarsi da umile casale in ricco e popolare Comune. Essa dal 1715 al 1853, cioè in 138 anni, ha elevato la sua popolazione da 605 abitanti a 4652. Essa ha reso otto volte maggiore, formando uno degli esempi eccezionali di rapidissimo accrescersi di popolazione, e ciò non ostante che non siasi emancipata dalla mano baronale, che da men che mezzo secolo .

I motivi di tale e tanta emigrazione vanno ricercati nella situazione di miseria in cui viveva la stragrande maggioranza della popolazione. Leone Cardinale parla addirittura di «angherie feudali» , che tenevano la classe rurale assoggettata ai grossi proprietari terrieri del luogo. In effetti i contadini , nella loro condizione di braccianti o di jurnatara (giornalieri, perché erano pagati a giornata di lavoro e, per lo più, in natura) o di mezzadri (coltivatori della terra del proprietario, con il quale dividevano al cinquanta per cento i prodotti), erano succubi del padrone di turno. Tra le persone più anziane circolano ancora ad Alia significative strofe di canzoni popolari, espressione genuina dello stato d'animo della povera gente, che affidava al canto melanconico e rassegnato il racconto delle proprie irreversibili sofferenze. Eccone uno straziante che dovette essere molto diffuso tra i jurnatara aliesi che si avventurarono sullo sconosciuto mare per raggiungere gli Stati Uniti d'America:

Madonna, quant'è àutu stu suli!Pi carità facìtilu cuddàri!Non lu facìti, no, pi lu patrùni,ma pi sti puvureddi iurnatàrica, sìdici uri a facciabbuccùni,li rini si li màncianu li cani...Iddu si vivi 'u vinu all'ammucciùnie nui vivemu l'acqua di vaddùniunni mèttinu a moddu li liàmi!

A questo canto, qualche secolo dopo, faranno eco, quasi a testimonianza di una tragica realtà vissuta da molte generazioni, i versi, anch'essi laceranti, di un poeta dialettale aliese, Pino Marchiafava, emigrato negli Stati Uniti d'America negli ultimi anni '50 e, attualmente, residente in un centro dell'Arizona. Egli appartiene a una famiglia di poeti in vernacolo siciliano. Altri due fratelli Vito e Nino, anch'essi partiti assieme ai genitori per l'America, compongono apprezzabili poesie dialettali, nelle quali prevalgono i loro sentimenti di emigrati, costretti a risiedere lontani da Alia. Riportiamo di seguito i versi di Pino Marchiafava, in cui, stavolta, a differenza di altri suoi componimenti, prevale la tendenza a esprimersi in un siciliano italianizzato :

Oh Alia, paisetto di montagna,fusti la culla di l'infanzia mia.Ja ti lassaiu quannu avia vint'anni,n'aju settanta e sempri pienzu a tia.Chiancìa quannu ti lassaiu,comu si eri la matruzza mia.Tuttu na la menti m'arristaue dintra l'uocchi la fotografia.Parlari ti putìa di tanti gentie di li beddi amici chi tinìa.Pittàri ti putissi cu un pennellue picch'issu tiegnu tanta nostalgia.La curpa nun fu tua e mancu mia,quannu partìu e nun ti salutaiu.La curpa è stata di lu pussidenti,ca a tutti quanti schiavi ci tinia.Quannu chiù nun potti suppurtarisenza pinzari a chiddu chi facìa,pigghiaiu lu treno e m'alluntanaiulassannu dietru a mia tanti ricordili chiù beddi di la vita mia.

Meno gravosa, ma non certamente prospera fu la sorte di coloro che erano riusciti ad avere qualche spezzone di terreno con il cosiddetto contratto di enfiteusi. Trattavasi, come è stato definito in campo giuridico, «di un rapporto di natura reale, in forza del quale è concesso sopra un fondo, in genere rustico, ma che può anche essere urbano, a favore di una determinata persona (detta enfiteuta, od utilista), contro un corrispettivo di carattere periodico, generalmente annuo, il diritto alienabile ed ipotecabile di utilizzazione perpetua, o temporanea (ma non inferiore ai vent'anni) del fondo stesso, del suo sottosuolo e delle accessioni, facendo propri i frutti relativi, con l'obbligo di migliorarlo» . Riguardava, in altri termini, lo spezzettamento dei latifondi e la concessione perpetua dei lotti a destinatari che avevano il pieno usufrutto del fondo con l' obbligo di bonificarlo e di pagare un canone annuo al proprietario.

Gli spezzoni erano di varie dimensioni, ma non eccessive : giungevano, per lo più, a un massimo di cinque o sei tumuli, distribuiti in una o più contrade e, talvolta, cumulabili nelle mani di un solo enfiteuta. Il tumulo ad Alia misura circa 1.300 metri quadrati. I proprietari dei feudi nel luogo erano gli eredi dei Santacroce e, più direttamente, i Principi di Sant'Elia. Anche la chiesa locale aveva concesso in enfiteusi buona parte dei terreni che, nel tempo, le erano pervenuti in donazione. I rapporti di enfiteusi, in certo qual modo, tamponarono l'emorragia dell'emigrazione, ma non risolsero i problemi dei contadini, i quali, sebbene sfruttassero al massimo lo spezzone di terra di cui disponevano, tuttavia erano sempre in difficoltà di fronte all'incalzare del carovita. Spesso erano anche le «male annate» con siccità, carestie, epidemie, a mettere in ginocchio o a buttare sul lastrico intere famiglie, che, di conseguenza, finivan stritolate dagli usurai, veri e propri vampiri come era solito chiamarli don Luigi Sturzo, attento conoscitore della zona e severissimo critico del fenomeno.

Ogni famiglia in disgrazia faceva automaticamente crescere il numero degli aspiranti a raggiungere la lontana America dalla quale cominciavano a pervenire non solo allettanti notizie sul benessere conseguito dai primi emigrati, ma anche pressanti inviti di familiari, parenti e amici, ivi ormai residenti, i quali, in lunghe e appassionate lettere (magari scritte da scrivani volontari o a pagamento), si rivolgevano ai propri cari sollecitandoli a prendere la coraggiosa decisione, dicendosi pronti a ospitarli in attesa di un lavoro e di una definitiva sistemazione e, spesso, dando la loro piena disponibilità per l'anticipazione o, addirittura, l'offerta della somma necessaria all'acquisto del biglietto.

Un ruolo di vera e propria assistenza pastorale svolse la chiesa locale a favore degli emigrati aliesi. Non fu un atteggiamento isolato, perché la parrocchia di Alia in questa attività si tenne in stretto collegamento con la Curia vescovile di appartenenza, quella di Cefalù, che, a sua volta, prendeva direttive dalla Santa Sede, allora diretta da un Pontefice particolarmente attento ai problemi degli operai, Leone XIII, il papa della Rerum novarum. In Vaticano era la Congregazione del Concilio a occuparsi della questione dell'emigrazione e tenere il coordinamento tra le Diocesi italiane .

Il parroco spesso interveniva personalmente per assicurare una degna sistemazione a chi partiva. Ciò avveniva tenendosi in rapporto con l'Ufficio Emigrazione Diocesano ovvero, tramite corrispondenza, con coloro che avevano raggiunto l'America e che, per un motivo o altro, scrivevano al sacerdote per informarlo e per essere informati e, molto spesso, per raccomandare un'attenzione nei riguardi dei familiari rimasti in paese. Ciò spiega la ragione per cui la stragrande maggioranza degli aliesi ebbe come prima destinazione - per molti rimasta definitiva - la Louisiana, uno dei pochi Stati dell'Unione con prevalenza di cattolici. Gli aliesi, per affinità di provenienza e di religione, divennero un tutt'uno con la comunità cefalutana, con la quale, tuttora, le nuove generazioni continuano a mantenere ottimi rapporti. Notizie della residenza o del passaggio di emigrati siciliani e, soprattutto, aliesi si hanno in molte parrocchie della diocesi cattolica di Baton Rouge, con maggiore frequenza in quelle di Ascension, East Baton Rouge, Iberia, Iberville, Jefferson, St. Bernard, St. James, St. Mary e Tangipahoa .

Si deve a tale stato di cose se non trova riscontro in Alia e nei pochi emigrati aliesi rimpatriati il pur interessante dato messo in evidenza da Francesco Renda nella sua Storia della Sicilia, secondo cui gli «americani» tornati ai loro paesi d'origine, avrebbero assunto atteggiamenti di indipendenza non solo nei confronti dei proprietari terrieri, i loro antichi padroni, ma anche nei confronti della Chiesa. Egli afferma testualmente che «non pochi americani si sono convertiti al protestantesimo e, tornati in paese, si danno alla predicazione della nuova fede, conquistano adepti, aprono chiese, spesso costituite da un ambiente a pianterreno di qualche decina di metri quadrati, dove si riuniscono a celebrare i loro riti» . Don Antonino Disclafani, parroco da circa 30 anni della locale Chiesa madre, da noi interpellato, ha dichiarato che, a sua memoria, non si è verificato alcun caso ad Alia di quelli accennati da Renda, né esiste traccia di ciò nelle carte dell'Archivio parrocchiale relative ai secoli scorsi.

2– .< b>Verso l’ospitale Louisiana

”The first documented proof of a native of Alia arriving in Louisiana is found not on ship passengers' list but in the sacramental records of St. Anthony's Church in New Orleans. On March 4, 1878, Giuseppe Panepinto, age 26 years, native of Alia, married Nunzia Di Maggio, native of Contessa”. Giuseppe Panepinto è il primo emigrato aliese a New Orleans di cui si ha notizia ufficiale grazie alla registrazione del suo matrimonio nella locale parrocchia di Sant'Antonio. A riportare questo dato è lo statistico Albert J. Robichaux Jr. in una sua interessante raccolta di dati ricavati dai registri dell'anagrafe di Alia .

Anche se non si hanno documenti sull'arrivo del giovane Panepinto in Louisiana si presume che egli, assieme ad altri aliesi, vi sia sbarcato negli anni '60 del XIX secolo. La mancanza di notizie precise è spiegata dallo stesso Robichaux, il quale, fra l'altro, scrive che «unfortunately, the passenger ship lists of the 1860s and 1870s do not provide the name of the town of birth of the immigrants; instead, the only reference cited is either Sicily or Italy». E, per quanto specificamente ci interessa” it is possible that Giuseppe Panepinto arrived in the United States through the Port of New York as his name doesn't appear on any ship lists of vessels arriving at New Orleans “. I quotidiani di New Orleans dell'epoca, quali «The Daily Picayune» e il “Times Democrat” non ignoravano l'arrivo di italiani in Louisiana. «Reports of arrivals in newspapers during the decades of the 1860s and 1870s - ci informa Robichaux - were primarily interested in the goods that were exported and imported between Italy and the Port of New Orleans . Nei decenni successivi cronache di questo genere si faranno più frequenti e più dettagliate.

Nell'edizione pomeridiana di martedì 16 dicembre 1880, in un lungo articolo titolato Immigrants from Italy, Two Hundred and Ten Passengers from Palermo Arrive on the British Steamship Scindia”, «The Daily Picayune» scrive che “The immigrants are mostly from Palermo, and vicinity. Of course the first few days at sea they were all affected with sea-sickness. Nearly at the men are stout, [illegible] fellows. The scene on the wharf when the baggage was landed for the inspection by the Custom-House officials was interesting and amusing to a spectator. Green boxes and long white canvas bags were the favorite recepticles for the goods and chattels of the immigrants. [...] The men and women all envinced their love of bright colors in the way of gay handkerchiefs, which were tied arounds the heads of the womens and the necks of the men. The cape worn by the men were, however, of worsted knitted. Black and brown velvet jackets and trwsers with boots like the English riding boot were worn by many of the men. The ears of both sexes were adorned with rings; those of the women in some cases touching the shoulders of the wearers.The meeting between the immigrants with their friends who had preceded them to this country, was in accordance with the manners and customs of the passionate, warm-hearted people of the Southern (illegible). Bearded men clasped each other around the body and kissed like school girls, and all talked and chattered as only Italians and Spaniards can .

Indescrivibili le peripezie, cui, durante la traversata da Palermo a New york o a New Orleans, andavano incontro i nostri emigrati. Al riguardo «The Times Democrat» di giovedì 15 ottobre 1889, in un articolo, titolato Italian Immigrants, Over 800 arrive on One Steamship and are Warmly Greeted by Their Friends, racconta la triste sorte di un bambino siciliano nei seguenti termini: «During the voyage the finest possible weather was experienced and there was no sickness on board. When one day out of Palermo an infant who had been ill on being brought on board died and was buried at sea».

Era questa, purtroppo la fine, che, in quelle navi ancora sprovviste di celle frigorifere mortuarie, per ragioni igienico-sanitarie sostenute da una precisa norma del Codice della Navigazione, toccava a chi avesse avuto la disgrazia di morire durante la traversata.Tra questi emigranti - che, provenienti from Palermo and the vicinità attiravano la curiosità dei quotidiani di New Orleans - è facile immaginare i giovani disoccupati e i contadini aliesi che aprivano gli occhi a una realtà interamente diversa da quella che avevano lasciato. Ebbene Giuseppe Panepinto, negli anni precedenti all'unificazione d'Italia, certamente, fu tra questi pionieri. E non solo lui. In una recente Exhibition presso il Museum Louisiana State sul fenomeno dell'immigrazione negli ultimi due secoli è stata esposta al pubblico una foto che riproduce un gruppo di sei giovani, provenienti from Alia (Palermo)dell'età media di 30 anni, e indicati nella didascalia come alcuni dei primi immigranti siciliani. Questi i loro nomi : Joe Ditta, Gaetano Ortolano, Gaetano Taulli, Frank Taulli, Sam Centanni, Carlo Ditta. Nella mostra, manifestatasi di grande interesse storico e sociologico, vi sono altre foto di aliesi, tra le quali quella della coppia Gaetano e Rosalia Taulli nel giorno del loro matrimonio avvenuto nel 1900.

Le foto erano state fornite agli organizzatori dell'Exhibition da Mr. John Volts, famoso avvocato, che è stato U.S. Attorney, ossia avvocato dello Stato Federale a New Orleans. Questi, poiché la madre era d'origine aliese, dispone di una ricca collezione di fotografie della fine del secolo XIX e dell'inizio del secolo XX relative all’emigrazione aliese.Siffatti arrivi alla spicciolata, furono seguiti da un movimento di massa che portò in Louisiana numerose famiglie aliesi. The first passengers' lists to identify Alia as the place of origin of the immigrants” - scrive Albert J. Robichaux - was that of the S.S. Scandanavia which arrived from Palermo and Naples on November 6, 1882. On the 261 steerage passengers aboard the Scandanavia, 91 were from Alia .

Il massiccio arrivo non fu un caso isolato, perché si ripeté per tutto il periodo della Grande Emigrazione che, come è noto, va dal 1889 sino a tutto il 1910. A commento di tale fenomeno Mr. Vincent Dispenza osserva che, in quel periodo, fu un'intera folla ad emigrare da Alia in Louisiana, tanto che non è esagerato ammettere che, se oggi si conducesse un'indagine, certamente risulterebbe che tra gli attuali residenti ad Alia il 90 per cento ha parenti in Louisiana.

La conferma all'eccezionale flusso di aliesi nell'ex colonia francese ci perviene indirettamente dall'esiguo numero di costoro registrato, invece, dal Center For Immigration Research Balch Institute (18 South 7th Street, Philadelphia, PA 19106) per quanto concerne i loro sbarchi nel Nord degli Stati Uniti e, quindi, nel Porto di New York. In uno scambio di e-mail avuto con il direttore, Ira A. Glazier, il noto storico e sociologo dell'immigrazione americana, mi sono fatta la convinzione, per i risultati gentilmente fornitimi, che negli anni 1900 e 1901 era stato esiguo - a differenza di quanto da circa un quarantennio avveniva a New Orleans - lo sbarco di aliesi nel Porto di New York, sul traffico del quale ritengo che il Center For Immigration Research Balch Institute disponga di una ricca documentazione.


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