La gita a Termini con lo zio Attilio - I^ parte -

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 20/10/2005
<b>La gita a Termini con lo zio Attilio</b>  -   I^  parte   -

La gita a Termini con lo zio Attilio - I^ parte -



    tratto da GIORNI VISSUTI COME SE FOSSERO ANNI di Liborio Guccione, giornalista e scrittore aliese, che ambienta tale sua opera nel paese natìo degli anni ’30-’40. - Si ringraziano, per la gentile concessione, gli Eredi dell'Autore e l’Amministrazione comunale di Alia che nel 1997 ha curato la pubblicazione del libro. -
    " Trascorsi la notte senza mai chiudere occhio pel timore di non svegliarmi in tempo. Lo zio Attilio me lo aveva particolarmente raccomandato: alle ore sei fatti trovare pronto per partire, sennò perdiamo il "postale".

    E io vissi tutta la notte per non dormire, ad aspettare l'ora di alzarmi e di prepararmi. E zitto, senza fare sospettare a mia Madre e a mia sorella Mary che non dormivo. E quando Mary venne -secondo lei a svegliarmi- per farmi fare la pipì, come faceva tutte le notti, si meravigliò: - Com'è che sei sveglio? Non è mica questa l'ora di partire, ma di fare la pipì. Io non risposi, feci finta di essere ancora insonnolito, feci il mio bisognino e mi buttai sotto le lenzuola, come fossi ancora smanioso di sonno. Restai, invece, nell'attesa di udire echeggiare nell'aria silenziosa le ore scandite dall' orologio della Chiesa Madre. Io le avevo seguite durante la notte, l'una appresso all' altra, avevo udito quei suoni cadenzare come fossero dentro di me: distaccati, lenti, misurati come passi felpati nell' aria della notte, attraversare le stelle e planare nelle case dei dormienti.
    E vennero, finalmente, le cinque ore del mattino: ecco questa sarebbe l'ora giusta, pensai, per essere svegliato dalla Mamma e da Mary. La mia veglia di smania, di ansia in quella notte che precedeva il mio ottavo compleanno non l'ho mai scordata, mi è rimasta impressa nella mente e nel cuore, e ancora oggi mi pare di riviverla come allora.
    Quell' otto marzo ricevetti il più bel compleanno: per la prima volta di quella ancor brevissima vita, sarei uscito dal mio paese, Lalia, per andare in un'altra città dove avrei incontrato il mare tinto d'azzurro, che io conoscevo solo sulla carta geografica che studiavo a scuola. Quel viaggio era il regalo dello zio Attilio per il mio compleanno: la meta di quel viaggio-regalo era  Termini Imerese'> Termini Imerese, una località che io immaginavo non so quanto lontano dal mio paese: e non era che a una trentina di chilometri! Certo non era ancora Palermo - l 'avrei conosciuta qualche mese più tardi - per me ancor più irraggiungibile, ma era una città e poi c'era il mare. Come sarà il mare mi ero domandato tante volte guardandolo sulla carta geografica, e me l'ero chiesto ancora in quei giorni d'attesa, e durante quella notte di veglia. Interrogarsi per sapere che cosa, come possano essere le cose o le persone che non conosciamo ma che andiamo a conoscere, è un esercizio della nostra mente nella quale l'immaginazione è composta, è guidata dai nostri desideri: costruiamo attraverso la nostra immaginazione le cose come vorremmo che fossero. Quella è la prima impressione che riceviamo di ciò che andiamo a conoscere.
    Questo esercizio dell'immaginazione è ancora più fervido nei bambini, è particolarmente avvertito ed è costante, proprio perché in loro c'è tanto vuoto di conoscenze quanta voglia, bramosia di conoscere, di appurare; c'è avidità di confrontarsi col mondo, tutto ancora da scoprire. La loro immaginazione è così ricca, così varia sino a indurli a tradurre spesso in convincimento reale ciò che spazia solamente nel loro involucro cerebrale. Per cui non di rado i bambini ci narrano di avere conosciuto, visto qualcuno o qualcosa che noi sappiamo bene non essere vero. Eppure essi ne parlano con tanta persuasione, con tanto convincimento, da mettere persino in dubbio i nostri dubbi. È la loro immaginazione, così galoppante da creare la convinzione che essi hanno vissuto nel reale ciò che è solo frutto dei loro desideri.
    Bisogna stare attenti a non tradurre in dileggio la loro immaginazione; o, peggio, ad accusarli di essere bugiardi: i bambini soffrono di una così grave accusa. Non è opportuno, dunque, spezzare bruscamente il sogno della loro immaginazione che non è bugia,ma semplicemente forte desiderio di realizzazione. E poiché i bambini affollano la loro fervida fantasia di cose positive, essa non fa difetto alla crescita della loro coscienza, all' arricchimento della loro mente. È difficile penetrare nel mondo dei bambini, conoscere le loro fantasie, i loro equilibri interni. Spesso i grandi peccano di sufficienza, e ciò non li aiuta a capire i bambini e, ovviamente, non aiuta questi a interpretare, a seguire il pensiero, le azioni dei grandi. Si creano in tal modo spaccature che, qualche volta, si rivelano insanabili.
    Non erano passati che pochi minuti dall'ultima nota dell'orologio, ma a me parvero ore. Come mai, mi domandavo, ancora nessuno viene a svegliarmi? Decisi allora di sollecitare l'attenzione della Mamma e di Mary, emettendo qualche colpetto di tosse e agitandomi nel letto, in modo che le tavole si muovessero sui trespoli, provocando un qualche rumore che svegliasse i miei cari, ed intuissero così che ero sveglio. Poi mi assediò il sospetto che non avessi contato bene i tocchi dell' orologio, che fossero stati quattro, anzichè cinque. Tentai anche di penetrare con gli occhi, attraverso le fessure delle imposte, nella speranza di scorgere un qualche filo di luce fuori, il biancore dell' alba. Ma da lì mi arrivò solo buio; segno che non era ancora mattino, che l'alba non era vicina. Attesi ancora, e, infine, mi decisi poi a chiamare timidamente Mary; e ripetei con più voce il nome di mia sorella la quale, insonnolita, mi rispose: "Sì, ho sentito, ma non ti preoccupare, c'è ancora tempo per partire" . E dopo poco scorsi però, nella sua stanza la tremula luce del lume a petrolio. Ah, finalmente! e le mie pene erano finite, le mie ansie potevano chetarsi: l'ora della mia festa era scoccata!
    Anche la Mamma venne con Mary nella mia stanza che fu illuminata fiocamente dalla tenue luce del lume che Mary teneva in mano. Nella mia stanza dormiva pure Giulio, mio fratello più piccolo, ma non si svegliò: continuò a sognare. Mentre Mamma e Mary mi vestivano, mi pareva di essere come il prete. Avevo assistito molte volte nella sacrestia della Matrice alla vestizione del prete dei paramenti sacri per le cerimonie religiose. Avevo osservato che egli se ne stava fermo, solenne, assecondando i gesti di Menico il sacrestano che lo vestiva. Ed io, in quel mentre, avevo sentito dentro di me la vocazione per il sacerdozio. Ecco, io me ne stavo fermo, ritto sul letto, mentre loro mi facevano indossare la camicia, calzoncini... mi pareva come se mi preparassero per un grande evento. E mi sentivo importante per tutte quelle attenzioni: lavato, pettinato, vestito e, infine, mia sorella volle anche profumarmi. Quel profumo sul viso, sulle mani, sui capelli, mi rendeva tanto più, come dire, orgoglioso e felice. Quell' odore che mi aleggiava attorno, mi dava la sensazione che completasse, arricchisse quell'evento da me tanto atteso. Ecco, un senso di pulizia, di ordine al mio essere. Ora ero pronto: la Mamma e Mary mi guardavano passandomi in rivista dalla testa ai piedi per accertarsi che tutto fosse ben messo, che non un capello fosse fuori posto. E, infine, soddisfatte, mi abbracciarono e mi baciarono come se stessi per partire, che so io..per andare soldato. Anche per loro era la prima volta che ci separavamo, ed erano commosse, e lo ero anch'io; ma anche per altra ragione: perchè mi accingevo a fare un balzo in avanti nella mia vita. Chissà se gli uccellini avvertono la stessa emozione quando spiccano il primo volo! Perchè io stavo per compierlo.
    Nell'attesa che giungesse zio Attilio mi miravo allo specchio, mi giravo e rigiravo per osservarmi come ero vestito. Mi avevano fatto indossare un vestitino alla marinara, stivaletti nuovi, allestiti da mastro Nino Bova che era considerato il migliore calzolaio del paese e aveva sempre calzato il mio parentado, ed era per questa sua maestrìa, molto considerato. Lo zio ancora non arrivava e la Mamma e Mary ne profittarono per farmi tante raccomandazioni: non allontanarti dallo zio, comportati educatamente, soprattutto quando sei a tavola. Erano tutte raccomandazioni superflue: erano ormai diventate il mio abito mentale, la mia seconda pelle, erano tutti condizionamenti per la mia vita di ragazzo. Ed io avevo fiducia nelle raccomandazioni che mi facevano sempre, davo forte credito ai loro suggerimenti, considerandoli parte della mia crescita.
    Oh, quante di quelle raccomandazioni comportamentali mi hanno accompagnato poi nel processo civile della mia vita! E per tali e tanti insegnamenti la mia riconoscenza per mia Madre e per mia sorella Mary che essendo la più grande ebbe una grande influenza sulla mia formazione, dura ancora oggi. Loro non ci sono più e io sono quasi per raggiungerle! Mentre esse mi sciorinavano tutte quelle raccomandazioni rituali, io ero attento ai rumori che mi giungevano da fuori, nella frenetica attesa di udire i passi di zio Attilio. E invece fuori era tutto silenzio; interrotto di tanto in tanto solo dal rumore prodotto dagli zoccoli dei muli e dei cavalli che gli uomini guidavano verso la campagna, facendoli procedere lentamente fra le pietre rovinose delle strade. Avrei certamente distinto i passi di zio Attilio, appena questi si fosse immesso sulla strada per venire a casa mia. E poi avrei udito sicuramente il portone di casa sua chiudersi dietro le sue spalle, appena fosse uscito. Zio Attilio abitava in una casa che era quasi attigua alla mia, appena un isolato più sopra, e nel silenzio del mattino l'avrei sentito.
    Intanto noi eravamo scesi al pianterreno ad attendere. -"Siediti... non stare così agitato" - mi disse la Mamma. Ma io, invece, nell' attesa preferivo passeggiare: ero teso come un padre che, dietro la porta di una sala parto, attende di udire il vagito della sua prima creatura che si annuncia al mondo... Sì, ero agitato , vivevo quegli ultimi momenti di attesa col timore, per esempio, che lo zio ci avesse ripensato, che potesse dirmi che non saremmo più partiti, che tutto era rimandato... Poi ad un tratto: ecco, "questi sono i passi di zio Attilio che viene", dissi a voce alta, fermandomi. Avevo, infatti, sentito prima il rumore del portone e la voce di zia Carolina che salutava il fratello; anche lei inseguendolo con le ultime raccomandazioni.
    Che senso materno hanno queste donne siciliane: siano esse sorelle, madri o spose, hanno tutte sempre apprensione per i loro uomini, hanno sempre questo modo di sentirsi loro vicine, come se i loro uomini avessero sempre bisogno di protezione, come bambini. E gli uomini anche se mostrano di essere infastiditi da tutte quelle premure, in cuor loro non riescono a fame a meno: hanno bisogno di sentirsi accompagnare dall'eco dell'ultima voce affettuosa delle proprie donne. Ricordo a tal proposito, un aneddoto, una diceria che circolava fra i miei parenti, raccontata per celia, ridendo, naturalmente: pare che una vecchia zia non la facesse mai finita di fare raccomandazioni a un suo nipote, a cui era molto legata, e che un giorno nell' atto di salutarlo non sapendo che altro dirgli, proprio, mentre il giovane stava montando in sella al suo cavallo, gli domandò: "l' hai abbottonata l’ acchittera"? - il "fischio" dei pantaloni, per intenderci -. E ciò fece arrossire il giovane nipote.
    E sapete qual è.l'ultima raccomandazione che fa una donna siciliana al suo uomo? "...Eh, attento! " Pronunciata con un tono particolare, con un' enfasi che è uno scongiuro e a un tempo una preghiera. Quell' " attento!" significa tante cose: una prevenzione contro ogni cattivo evento, un' allerta contro ogni imprevisto, uno scongiuro contro il "Maligno" , una raccomandazione ai santi del paradiso perchè proteggano il suo uomo. Se si dovesse penetrare nei meandri della storia di questa terra, forse troveremmo tracce che ci farebbero sapere che in questo accorato comportamento della donna non c'è solo un modo affettivo "particolare", ma c'è anche una paura istintiva, cresciuta con il divenire della contorta storia di questo popolo, sempre soggetto a subìre scorribande, violenze, sempre insicurezze...
    Ma è così fatta la donna sicula: l'uomo è sempre bisognoso di cure, di amore, di affetto, di difesa! "






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