NELLA MIA ISOLA
Nella mia isola "impreparata e povera", una volta la gente viveva felice: terra felix, la chiamavano gli antichi. Il sole nel suo sorgere mattutino baciava le campagne dove una leggera brezza di vento agitava le piante; seduto su di una pietra sporgente dalle zolle, dal suo zufolo un pastore traeva melodie senza senso che gli allietavano lo spirito ed intanto non perdeva di vista le pecore che brucavano l'erba o saltavano nel rincorrersi mentre gli agnellini succhiavano, beati, il latte delle loro madri.
Nella mia isola "impreparata e povera" la gente coltivava la terra, accettava la stanchezza del lavoro nei campi perché da lì sarebbe venuto il cibo necessario per vivere ed ecco perché all'epoca del raccolto, cantava e festeggiava ed offriva generosi frutti agli dei che erano stati benevoli con essa: il montone più grasso, l'agnellino più tenero, le primizie dei frutti, tutto veniva offerto senza alcun rimpianto a quegli dei che vivevano in un loro mondo dorato, come si conviene agli dei, lontano dalle fatiche quotidiane, dai sudori, dalle sofferenze, dalle malattie.
Ed in quell’isola tutti vivevano felici!
Nella mia isola giungevano viandanti che erravano, instabili, per il mondo, alla ricerca di qualcosa che non riuscivano mai a trovare e che, credevano, avrebbe dato loro la felicità intima, la serenità, la quiete, e da quei viandanti la gente apprese che c'erano altre terre al di là dei monti e di quella vasta distesa d'acqua dalla quale pescavano pesci dalle forme diverse da gustare cotti sulle braci; e quei viandanti, proseguendo nel loro vagabondare, raccontarono ad altre genti, in altri paesi, che esisteva un luogo delizioso dove la terra dava frutti a profusione, dove gli armenti ingrassavano e si moltiplicavano e dove la gente, mite, rispettosa degli dei, era molto ospitale.
Nella mia isola, impreparata e povera, un giorno giunsero gli stranieri, venivano dai monti che si vedevano al di là di quello stretto filo di mare, dopo aver superato alte cime, gole strette, ruscelli che indicavano la strada da seguire e venivano dal mare lontano, da così lontano che sembravano giungere dal cielo perché laggiù, ad un tratto, il mare si congiungeva con il cielo.
Ed allora la mia isola conobbe la ricchezza e si sentì ricca perché chi la dominava sapeva come accontentarla con poco togliendole il molto che aveva: la libertà!
E la mia isola cercò altrove la libertà e la ricchezza ma pianse, pianse la lontananza delle sue terre verdi che nessuno più coltivava, pianse perché non udiva più il belato degli armenti e non vedeva più il volo degli uccelli nel cielo azzurro puro.
E la mia isola capì che l’unica ricchezza che sola rende felici gli uomini è l'amore ed il rispetto per la propria terra, per quello che essa è in grado di offrire a piene mani, l'amore ed il rispetto per quanti, in questa isola, memori della prosperità di un tempo che sembra immemorabile, sono pronti a far riaffiorare la fiamma dell'orgoglio e della gioia che dà il sapere di appartenere a questa terra non più impreparata e povera!
Caudia Lo Blundo
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