A SAN NAZARIO DI SOPRA

Radici & Civiltà

LO BLUNDO CLAUDIA LO BLUNDO CLAUDIA Pubblicato il 17/11/2005
<b> A   SAN  NAZARIO  DI  SOPRA </b>

A SAN NAZARIO DI SOPRA




    L’autista della traballante corrierina sulla quale avevo viaggiato mi fece scendere dinanzi l’unico albergo-pensione-ristorante-pizzeria di San Nazario di Sopra.
    Il volo da Milano a Catania era stato tranquillo non altrettanto poteva dirsi del viaggio su quella corriera che sembrava arrancare, più che salire, sulla strada tutta tornanti che mi aveva condotta in paese; eppure mentre mi dicevo che ero felice di giungere nel luogo che avevo prescelto per dare sfogo al mio dolore, ai miei rimpianti, alla mia voglia di capire perché Luigi mi avesse lasciato, non potevo fare a meno di osservare con sgomento i terreni ora brulli, quasi rocciosi, ai lati della strada, di tanto in tanto punteggiati da piantagioni di ulivi o di mandorli, oppure ancora gialli per la paglia rimasta ad essiccare al sole dopo la mietitura del grano, ed intanto sempre quella ossessiva domanda: "Perché Luigi mi ha lasciata? "
    Cinque anni prima si era presentato nell’ufficio legale presso cui lavoro come segretaria, dicendo di essere l’architetto Luigi Santi:

    " Sono atteso! " aveva specificato con il timbro di voce arrochita dal fumo e che a me era sembrata stupenda. Mi era apparso come il principe azzurro e me ne ero innamorata.

    Ora la domanda era angosciante oltre che ripetitiva: perché mai un uomo di trentotto anni, lascia all’improvviso una donna di trentadue anni, giovane carina, dolce - così mi confortavano amiche e colleghe -, con la quale ha condiviso cinque anni di vita?
    " Perché è andato via senza un motivo?"Poi avevo scoperto che il "motivo" si chiamava Marta e gestiva una palestra che Luigi, da bravo architetto, aveva saputo ricavare da un sordido scantinato.
    Marta era bruna, alta, muscolosa: una virago! E Luigi mi aveva lasciata per lei?
    Quante volte mi ero ripetuta le sue ultime parole, gridate come se solo in quel modo avrei potuto capire meglio:" Devi crescere, non puoi continuare a sognare, poggia i piedi per terra, siamo negli anni novanta! "
    Durante il viaggio sulla corrierina, i miei occhi si poggiavano sulla campagna circostante ma senza vederla perché il ricordo delle parole di Luigi mi faceva attraversare il tempo e le cose.
    " Nel duemila pensi ancora a queste cose! "
    Aveva risposto così ogni qualvolta aveva rifiutato la mia proposta di sposarci, ed io stupida, per fargli capire che ero moderna come lui, nella speranza di tenerlo, comunque, con me, non avevo mai avuto il coraggio di ribattere che al duemila mancavano ancora dieci anni e che, comunque, la gente si sposa ugualmente!
    Quante volte mi ero data della stupida per non avergli saputo dare una risposta appropriata quando affermava, senza possibilità di farmi controbattere, che il nostro rapporto era già consolidato dalla convivenza; avrei dovuto obiettare:
    " Che male c’è nel volere un abito bianco, una cerimonia, il viaggio di nozze, i figli…! "
    Il dolore dell’abbandono di Luigi era divenuto simile ad un lutto ed allora le mie colleghe ed amiche mi avevano convinto ad allontanarmi da Milano per un breve periodo di vacanza. Nel cedere alle loro parole non avevo scelto i silenzi delle Maldive o dei Monti Tibetani, ma la Sicilia: mi sembrava abbastanza lontana da Milano ed abbastanza silenziosa: una terra brulla, arida, vecchia, mi ero detta, che non mi avrebbe fatto rimpiangere nulla della vivacità di Milano.
    " Ho bisogno di riposo e relax! "
    Avevo dato quelle uniche indicazioni all’impiegata dell’agenzia di viaggio presso la quale mi ero rivolta, e quella, dopo avermi scrutata, mi aveva chiesto di aspettare ventiquattro ore per effettuare una debita ricerca, così il giorno dopo, mentre mi consegnava il pacchetto viaggio e mi diceva il nome della mia destinazione "San Nazario di Sopra", mi aveva augurato buona permanenza. L’avevo ringraziata intimamente dubbiosa ma con una sola speranza quella di avere del tempo a disposizione per pensare, capire e, possibilmente, superare la ferita che era destinata ad accompagnarmi per il resto della mia vita: ero stata lasciata!
    Appena scesa dalla corriera mi venne incontro la padrona dell’albergo, allungò la mano per salutarmi con un cordiale sorriso: " Piacere, Gina; ben arrivata! "
    Dietro di lei un giovane alto, robusto, prese i miei bagagli ed intanto fece un cenno di saluto con la testa mentre la Gina spiegava, con un vistoso orgoglio materno:"E’ Diego, mio figlio! "
    L’ingresso dell’albergo non aveva hall né rècéption, c’era una grande sala arredata con mobili e divani antichi ed austeri. Mentre salivamo, a piedi, al piano superiore, la proprietaria mi spiegò che in quel momento ero l’unica ospite, ma già l’indomani sarebbero giunti altri clienti.
    La camera che mi era stata assegnata odorava di fresco, di lavanda.
    La signora Gina aprì la finestra adombrata da pesanti tende di cretonne verdi a fiorellini rosa e mi invitò ad affacciarmi; la corriera era ancora ferma dinanzi l’albergo e solo allora mi resi conto che questo si trovava su una grande piazza, proprio di fronte ad una chiesa e sui bordi della piazza si trovavano numerose bancarelle multicolori.
    " C’è la fiera? "
    Non mi interessava saperlo ma lo domandai più che altro per dire qualcosa.
    " No! " - sorrise la signora Gina – " Oggi si festeggia San Nazario, il Santo Patrono del paese ed i contadini ringraziano Dio perché quest’anno il raccolto è stato abbondante! "
    Trattenni appena in tempo un gesto di disgusto all’idea del rumore assordante che sarei stata costretta ad ascoltare in quella stanza; intanto la Gina diceva:" La cena è alle venti e trenta ma, se vuole, può scendere prima e gustare una granita di limone: è una nostra specialità!"
    Dovetti fare un sorriso di ringraziamento ma quando la Gina uscì dalla stanza, sedetti sconsolata sul bordo del letto mentre mi domandavo perché avessi ceduto ai consigli ed al mio impulso di andare via da Milano.
    Di fronte a me c’era un armadio antico con un grande specchio: osservai quell’altra riflessa e le dissi impietosa: " ecco il tuo guaio, sei impulsiva nel modo sbagliato, prima parli e poi ti blocchi, prima parti e poi te ne penti! "
    Il mio rammarico era incentrato tutto sull’inutilità di quel viaggio: mi sarebbe stato impossibile dimenticare Luigi e riacquistare la gioia che, da circa due mesi, mi sembrava appartenere ormai ad un tempo remoto; ed ero anche preoccupata perché, abituata ai miei silenzi, alla cortesia di vicini sconosciuti e di parenti permissivi, alle amicizie scelte tra colleghi d’ufficio, capivo già che mi sarei sentita soffocare dalle premure con cui, ne ero sicura, la Gina mi avrebbe colmata: aveva già osservata che ero molto magra e con tono saggio aveva detto che l’aria salubre mi avrebbe fatta tornare la voglia di mangiare e di vivere. Diamine, quella donna mi aveva messo in imbarazzo, osava parlare di cose mie, personali, che lei del resto ignorava, quasi ne fosse a conoscenza!
    E poi, come se non fosse bastato tutto ciò, ero capitata nel bel mezzo di una festa paesana! Chissà che sporcizia e che baldoria e di certo gli uomini si ubriacavano!
    Provai il telecomando e vidi con soddisfazione che l’apparecchio T.V. funzionava: dopo cena avrei guardato Canale cinque!
    Quando scesi a piano terra per sorseggiare la granita di limone - veramente buona, dovetti convenire- , la signora Gina mi convinse a sedermi a fianco a lei sulla soglia dell’ingresso; notai allora che la signora Gina era una bella donna, dai grandi occhi scuri sul volto dalla carnagione leggermente ambrata, incorniciato dai capelli neri raccolti in una ricca crocchia che le troneggiava sul capo facendola apparire simile ad una regina, una regina greca, ecco cosa mi venne alla mente, che accettava il saluto di quanti passavano.
    Ad alcune donne, sue amiche, mi presentava dicendo che ero una milanese in cerca di relax, diceva proprio così e quella parola pronunciata nel suo accento mi faceva sorridere.
    " Verremo a prenderla più tardi! " dissero due giovani donne.
    " No, - mi schermii- andrò a dormire! "
    " A dormire? "
    Notai il loro sguardo sconsolato, ma fui ferma nella la mia decisione, non avrei potuto partecipare ad una festa paesana anche perché, pensai: " Luigi odia le feste: quelle di beneficenza, quelle organizzate dai vari partiti, per lui sono kitsch e degradanti
    "
    .
    Intanto, mentre spariva l’ultimo bagliore del sole, si accesero migliaia, che dico, milioni di lampadine colorate, incastonate nelle luminarie sospese nell’immensa piazza e nelle vie che vi convergevano.

    " Vede che bella illuminazione! "
    La voce della signora Gina mi scosse.
    " Si, molto bella! " dovetti convenire.
    Mentre il marito di Gina mi chiamava per la cena udii dei colpi di mortaretto; dapprima sussultai, temetti un tumulto come accade talvolta a Milano, poi, incuriosita mi volsi a guardare sulla piazza.
    " La processione è finita ed il Santo sta per entrare nella matrice!"
    " Eh! "
    " La matrice, la chiesa, si, da noi la chiesa più grande e più importante del paese si chiama matrice! "
    La signora Gina sorrise.

    " Che colpi, però!"
    " E non è nulla, sentirà più tardi!"
    La cena mi pacificò con me stessa: il primo, il secondo con contorno, frutta e dolce avevano il gusto di cose che, mi venne da pensare, appartenevano a tempi passati, di " una volta! "
    Quando le due amiche di Gina vennero per condurmi alla festa rifiutai dicendo che mi sarei sentita un pesce fuor d’acqua non conoscendo nessuno, ma intervenne la Gina con fare deciso " Vada, vada, si divertirà, e poi è qui per rilassarsi! "
    A braccetto delle mie accompagnatrici, facemmo una passeggiata sul corso adiacente l’albergo, le vetrine dei negozi erano illuminate e con la luce delle luminarie sembrava di trovarsi in pieno giorno.
    Quando passammo dinanzi la chiesa aperta, all’interno, i lampadari antichi accesi ed i candelabri
    sull’altare sembravano rilucere come pale dorate e mi misero addosso una strana sensazione di euforia, mi sembrò dì essere tornata bambina, una notte di Natale di tanto tempo prima, una notte magica perché, dopo la nascita del Bambinello, speravo di trovare il dono sognato da tutte le bambine: una Barbi elegante dai lunghi capelli sottili e dorati.
    Le mie accompagnatrici si fermavano a salutare l’uno e l’altro e mi presentavano, seguivano strette di mano o gentili saluti sorridenti.
    La piazza era ormai del tutto affollata: donne vestite dei loro abiti migliori, ragazzini che correvano e s'insinuavano tra gli adulti mentre le voci dei venditori delle bancarelle si mescolavano alle musiche trasmesse dagli altoparlanti.
    Il momento di serenità vissuto dinanzi la chiesa era passato ed ero stata ripresa da un vago senso di disgusto al vedermi circondata da quella calca che mi sembrava emanare odore di sudaticcio e di campagna.
    Attorno a me coppie di giovani e non più giovani, genitori circondati da due o tre figli, gruppi rumorosi di ragazzi, affollavano i banconi dove chili di caramelle suddivisi in forme e colori diversi stavano accatastati vicino a chili di biscotti dalle forme diverse, e poi c'erano noccioline, castagne, nocciole, enormi lecca lecca; ad un tratto un odore acre e nauseante attirò la mia attenzione verso alcune bancarelle: sulla brace arrostivano salsicce che poi finivano dentro grossi panini prima di essere divorati da uomini e donne, senza distinzione di età, che sembravano bearsi nel mangiare quel cibo.
    Le mie accompagnatrici probabilmente si resero conto del mio disagio perché mi invitarono ad avvicinarci al palchetto della musica, e cosi vidi altre bancarelle di fronte alle quali bambini piagnucolosi volevano tutti i giocattoli esposti.
    Sul palco adornato da drappi di velluto rosso, i componenti della banda musicale, in rigorosi abiti neri, si affaccendavano per disporre i loro strumenti: avevano già esposto un cartello su cui era scritto il titolo del primo brano che avrebbero eseguito : Il Brindisi dalla Traviata di Verdi.
    Arricciai il naso: quelli non immaginavano nemmeno cosa significasse suonare quel brano d’opera come si deve, così come l’avevo udito alla Scala.
    Più di una volta avevo tentato di farmi riaccompagnare in albergo, ma le mie accompagnatrici non si erano lasciate incantare dalle mie scuse di stanchezza varia.
    E fu cosi che mentre le mie compagne mi invogliavano a guardare a destra ed a sinistra, un odore dolciastro giunse alle mie narici, mi voltai di colpo: era lì!
    " Lo zucchero filato ! " esclamai.

    Capii di essere sembra stupida.
    " Vieni, lo compriamo! " mi sollecitò una delle due, passando ad un confidenziale tu, forse perché per la prima volta mi vedeva interessata a qualcosa.

    " No, no! "

    Non avrei assolutamente potuto mangiarlo in quella calca, di fronte a quella gente che avrebbe riso di me, milanese, che mangiavo lo zucchero filato. Ma l‘altra compagna, senza dire altro ordinò tre bastoncini di zucchero filato:
    " Belli grossi, perché la signorina è milanese!"
    Ormai era pagato, dovetti accettarlo! Alloro sorrisi alle due giovani, sorrisi al venditore e poi affondai le mie labbra, le guance, il viso nel grosso batuffolo di zucchero filato che mi sì incollò sulla pelle tra le risate di noi tutte.
    Come in sottofondo, attraverso il rumore della folla, mi giunse il suono di una musica nota, il brindisi dalla Traviata, ed iniziai a ridere come una bimba felice.
    Fu un incanto ritrovato; di certo, durante la mia infanzia, avevo vissuto l’incanto della festa dove si vende lo zucchero filato, il gelato, il pop corn e le noccioline. forse era accaduto quando ero piccola, quando andavo alle giostre, incurante della folla e mi divertivo perché ero bambina, ma poi la donna aveva preso il posto di quella bambina ad aveva dimenticato che in una notte stellata di luglio si può ritrovare la gioia delle cose semplici, di una vita senza complicazioni, senza abiti griffati, senza cocktail né la Scala, ed allora, dopo lo zucchero volli offrire io, alle mie amiche, le noccioline da sgranocchiare mentre la banda si lanciava in un virtuosismo della sinfonia dalla Gazza ladra.
    " Ti diverti? " domandò una delle mie compagne, anche se la domanda ormai era inutile.
    " Chissà cosa direbbero le mie amiche! " risposi, ridendo complice, ed il pensiero corse a Luigi: che sciocco, pensai, cosa c’è di male a godere una serata di festa bella come qui!
    Continuammo a camminare, a salutare ed a sgranocchiare finché ritornammo sotto il palco; la banda suonava ancora ed alcune coppie avevano iniziato a ballare ai piedi del palco su una pista improvvisata; udii alle mie spalle una voce giovanile:" Posso invitarla? "
    Era Diego, il figlio della regina greca.
    " Non so ballare " " Non importa segua me! "
    Non so perché, alzai gli occhi a guardare la luna che splendeva circondata da tante stelle, tante quante le lampadine delle luminarie e poi mi lasciai andare al ballo, un valzer, un tango, un lento: non é vero che non so ballare e che a Luigi questi balli non piacevano!
    Mezzanotte era già suonata, la banda aveva finito dì suonare e le mie amiche mi dissero che tra poco avrebbe avuto inizio il gioco di fuoco.
    Ad un tratto mi assali come una sorta di paura, mi venne in mente la bella Cenerentola, costretta a fuggire dal palazzo del principe se non vuole rischiare di ritrovarsi una sporca Cenerentola nel salone da ballo e mi venne la tentazione di lasciare anche io la festa mentre tutto era ancora bello: mi sarei chiusa nella mia camera d’albergo ed avrei conservato il ricordo di quelle ore spensierate, quasi lontana dal mondo.
    Le mie compagne, invece, seguendo la scia della folla, mi condussero fuori dalla piazza dove, da una strada laterale scorsi, in lontananza i primi giochi di fuoco che lasciavano ombre di fumo, poi i bagliori dei giochi si levarono alti verso il cielo formando girandole di vario colore, stelline, lunghe comete bianche. Il paese era illuminato dalle luci delle luminarie e dai bagliori dei fuochi ed allora pensai che sarebbe stato sciocco disperdere il regalo di quella gioia ritrovata nella malinconia della mia camera solitaria.
    Quando anche i giochi ebbero fine un fiume di gente si avviò sorridente alla propria abitazione; le vetrine sul corso erano ancora accese e le luminarie, nella notte fonda, sembravano ancora più luminose, qualcuno avrebbe spento quelle luci quando noi tutti saremmo stati già addormentati.
    Mentre, nella mia stanza, accostavo le persiane di legno diedi un ultimo sguardo sulla piazza; avevo trascorso una bella serata, libera da tutti quegli atteggiamenti che nel condizionarci rendono noiosi anche i momenti che dovrebbero essere di festa, e pensai di nuovo a Luigi, cosi lontano da me, con la sua virago, e capii che forse non era proprio il caso di macerarsi l’animo per lui:

    " Non sai cosa hai perduto e cosa io ho ritrovato! " dissi dando un ultimo sguardo alla piazza ancora illuminata mentre il mio pensiero era già rivolto all’appuntamento dell’indomani e dei giorni successivi: Diego e le mie due nuove amiche mi avrebbero guidata alla scoperta delle antichità del loro territorio e delle loro feste!
    CLAUDIA LO BLUNDO




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