IL SOGNO DI CATERINA- PARTE II^ -
Mentre camminava carezzò la gonna rigonfia dell’abitino nuovo che indossava; era bianco con grandi fiori colorati e con la gonna a palloncino, un modello fuori moda ormai da diversi anni e sorrise al pensiero che, dopo essere riuscita a cucirlo di nascosto, finalmente aveva potuto indossare quel vestito che a casa non avrebbe osato mettere per timore delle critiche che avrebbe ricevuto da zia Giacomina.
Il ricordo dell’anziana domestica lasciata a casa le fece tornare alla mente la signora Gastaldi, la vecchia signora, defunta da tanti anni, che rimasta vedova di un capitano di marina, benestante e senza figli, l’aveva condotta con sé a Portovenere perché le facesse da figlia, o, come lei aveva finito col pensare, da dama di compagnia.
Caterina, dopo un ultimo sguardo alla distesa azzurra del mare, sedette su una poltroncina ed emise un profondo sospiro del quale non avrebbe saputo dare spiegazione: avrebbe potuto essere un sospiro di sollievo o di malinconia, di rassegnazione o di speranza. Sapeva che, se l’avesse cercata, Bruno l’avrebbe trovata seduta lì.
Dalla borsa che aveva portato con sé estrasse alcuni gomitoli di lana colorati, ne prese in mano uno color azzurro ed un altro color grigio perla: sorrise lievemente e si soffermò a considerarli mentre nella sua mente prendeva forma il lavoro a maglia che ne avrebbe ricavato.
La sua attenzione fu attratta dalla voce di due uomini che si trovavano all’interno della sala bar e che le giungevano nitide attraverso l’oblò che si trovava un po’ più su della sua testa.
Caterina capì che l’altro parlava di lei ed avrebbe voluto spiare il volto di Bruno per scoprire, al di là della risposta, i sentimenti reali che lui provava nei propri confronti: poggiò i gomitoli in grembo e chiuse gli occhi; non poteva immaginare lo sguardo di comica rassegnazione dipinta sul volto di Bruno ma udiva con chiarezza le sue parole.
Le parole dei due uomini produssero un turbinio di sentimenti nella mente di Caterina che si toccò una guancia quasi a voler scoprire, ancora una volta, la verità dell’affermazione di Bruno, ma la mano le rimase incollata sul volto!
Caterina divenne rossa per la vergogna: non aveva mai capito perché dovesse incontrare dovunque e sempre qualcuno pronto a rivangare la propria storia di donna senza origini, abbandonata da una madre che non si era preoccupata del futuro di quella figlia e da un padre che, con ogni probabilità non aveva saputo di esserlo." Allora? E’ vero? " incalzava l’altro.
Caterina ebbe la sensazione che cercasse di rassicurare più se stesso che non l’amico. Non riuscì ad ascoltare altro, lasciò cadere a terra la borsa con i gomitoli e, con un improvviso senso di nausea procuratole dal tentativo di trattenere le lagrime, si allontanò da quel posto e si diresse verso il parapetto della nave.
Fissò ipnotizzata lo sciabordare delle onde a ridosso della nave e le venne da pensare che per lei sarebbe stato meglio se si fosse lasciata andare in uno di quei vortici piuttosto che proseguire la propria vita solitaria in un’altalena di amarezza ed angosce legate al fatto oscuro della propria nascita ed aggravata, ora, dalla consapevolezza che non c’era una persona al mondo, nemmeno Bruno, che le volesse veramente bene: provò un brivido al pensiero di essersi illusa di poter costruire un futuro e credette che non le fosse concesso alcun futuro perché non aveva un passato: non sapeva da dove veniva!
" Forse è quella la mia casa! Forse è vero: mi ha portato il mare! Aveva ragione la Madre Superiora! "
Discesi dalla nave proveniente dall’America ed approdata nel porto di La Spezia, due marinai, su una delle tante casse depositate sul molo, avevano notato uno strano mucchio di panni, quasi un fagotto di quelli che le donne di paese una volta mettevano in testa e riuscivano a reggere con particolare eleganza. Con una logica curiosità avevano guardato cosa contenesse quel fagotto e, con non poco stupore, avevano scoperto che nel mucchio di panni, ed avvolta in una coperta di lana bianca ricamata con dei fiori colorati, ma strappata da una parte, c’era una neonata che tra le manine chiuse teneva un biglietto sul quale era scritto a matita: née le 18.4.1935.
I due uomini si erano guardati sbigottiti:
" E’ nata sulla nave! "
Eccitati per la scoperta avevano portato la piccola al comandante del porto ed anche lui, pur se ormai abituato ad affrontare qualunque situazione con una certa dose di cinismo, era rimasto impressionato dalla presenza di quel fagottino che una donna, più cinica di lui, dopo averla partorita in una triste situazione, senza aiuti adeguati, aveva lasciato al freddo su quel molo.
Dopo aver letto e riletto il biglietto quasi avesse potuto trovarvi un indizio che potesse guidarlo alla ricerca della madre di quella piccina, aveva detto che doveva trattarsi di una francese e magari una donna di colore, e quindi la si doveva ricercare tra le passeggere discese dall’ultima nave da poco giunta in porto.
Con quelle parole e con molta commozione nella voce, qualche ora dopo i due marinai avevano affidato alle braccia del Superiora del Brefotrofio la piccola, chiamata Caterina perché trovata nel giorno di santa Caterina, ancora avvolta nella sua copertina bianca vistosamente strappata in un angolo.
Come in trance Caterina continuò a fissare la grande distesa salata che sembrava blandirla con i suoi colori, ora azzurro ora blu notte, allietati dalla bianca schiuma che si dissolveva con lo stesso incanto con cui si formava.
Con quelle parole e con molta commozione nella voce, qualche ora dopo i due marinai avevano affidato alle braccia del Superiora del Brefotrofio la piccola, chiamata Caterina perché trovata nel giorno di santa Caterina, ancora avvolta nella sua copertina bianca vistosamente strappata in un angolo.
Come in trance Caterina continuò a fissare la grande distesa salata che sembrava blandirla con i suoi colori, ora azzurro ora blu notte, allietati dalla bianca schiuma che si dissolveva con lo stesso incanto con cui si formava.
Come in trance Caterina continuò a fissare la grande distesa salata che sembrava blandirla con i suoi colori, ora azzurro ora blu notte, allietati dalla bianca schiuma che si dissolveva con lo stesso incanto con cui si formava.
Claudia Lo Blundo