IL SOGNO DI CATERINA- PARTE I^-

Radici & Civiltà

LO BLUNDO CLAUDIA LO BLUNDO CLAUDIA Pubblicato il 21/11/2005
<b>IL SOGNO DI CATERINA</b>- PARTE I^-

IL SOGNO DI CATERINA- PARTE I^-



PARTE I^
Lo sguardo rivolto verso le poltroncine in finta pelle poste a ridosso della parete esterna della sala bar, Caterina camminava con passo insicuro, timorosa di cadere; per la prima volta calzava scarpe bianche estive con esili tacchi, ed i suoi piedi seguivano il battito ritmico ed emozionato del suo cuore mentre si poggiavano sulle assi di legno della tolda della nave mercantile sulla quale si era imbarcata in compagnia di Bruno l’uomo che aveva accettato come futuro marito. Aveva dato un rapido sguardo alla scia bianca e spumeggiante lasciata dalla nave che l’allontanava sempre più dalla propria vita passata; ignorava il suo futuro ma ciò non le interessava molto, per lei era importante essere lì, su quella nave, sul mare che da due giorni la dondolava e la invitava ad affrontare quel viaggio verso destinazioni a lei ignote.

Mentre camminava carezzò la gonna rigonfia dell’abitino nuovo che indossava; era bianco con grandi fiori colorati e con la gonna a palloncino, un modello fuori moda ormai da diversi anni e sorrise al pensiero che, dopo essere riuscita a cucirlo di nascosto, finalmente aveva potuto indossare quel vestito che a casa non avrebbe osato mettere per timore delle critiche che avrebbe ricevuto da zia Giacomina.

" Non è un modello adatto a te, sei tanto grassa che con questo vestito sembri una piccola botte! " era sicura che zia Giacomina le avrebbe detto proprio quelle parole per prenderla affettuosamente in giro.


Il ricordo dell’anziana domestica lasciata a casa le fece tornare alla mente la signora Gastaldi, la vecchia signora, defunta da tanti anni, che rimasta vedova di un capitano di marina, benestante e senza figli, l’aveva condotta con sé a Portovenere perché le facesse da figlia, o, come lei aveva finito col pensare, da dama di compagnia.

Caterina, dopo un ultimo sguardo alla distesa azzurra del mare, sedette su una poltroncina ed emise un profondo sospiro del quale non avrebbe saputo dare spiegazione: avrebbe potuto essere un sospiro di sollievo o di malinconia, di rassegnazione o di speranza. Sapeva che, se l’avesse cercata, Bruno l’avrebbe trovata seduta lì.

Dalla borsa che aveva portato con sé estrasse alcuni gomitoli di lana colorati, ne prese in mano uno color azzurro ed un altro color grigio perla: sorrise lievemente e si soffermò a considerarli mentre nella sua mente prendeva forma il lavoro a maglia che ne avrebbe ricavato.

La sua attenzione fu attratta dalla voce di due uomini che si trovavano all’interno della sala bar e che le giungevano nitide attraverso l’oblò che si trovava un po’ più su della sua testa.
Caterina riconobbe il timbro di voce di Bruno e capì che giocava a carte."Ehi! Amico mio" - diceva Bruno - " oggi la fortuna è dalla tua parte, continui a vincere! " " Sfortunato al gioco, fortunato in amore! " - rispondeva l’altro - " Tu hai l’amore io le carte! " " Dai, facciamo un’altra partita! " Caterina sorrise all’idea che Bruno volesse, comunque, vincere. " Speri di vincere? " - domandava l’altro con fare canzonatorio - " Ahi, ahi! Devi stare attento perché non puoi sfidare i proverbi a meno che tu…ma sei proprio innamorato?"

Caterina capì che l’altro parlava di lei ed avrebbe voluto spiare il volto di Bruno per scoprire, al di là della risposta, i sentimenti reali che lui provava nei propri confronti: poggiò i gomitoli in grembo e chiuse gli occhi; non poteva immaginare lo sguardo di comica rassegnazione dipinta sul volto di Bruno ma udiva con chiarezza le sue parole. " Cosa vuoi, a cinquantadue anni non posso stare lì a sottilizzare: si… avrà qualche chilo di troppo…! "
" Solo qualche chilo…? " Scusa la franchezza, anche se forse non dovrei…"" Va beh, però…se la guardi bene, ti rendi conto che ha un bel viso, lei non sa valorizzarlo perché è sempre stata molto semplice ma osservala bene, senza tener conto della sua grassezza, e ti accorgerai che ha i lineamenti di una vera bellezza esotica."

Le parole dei due uomini produssero un turbinio di sentimenti nella mente di Caterina che si toccò una guancia quasi a voler scoprire, ancora una volta, la verità dell’affermazione di Bruno, ma la mano le rimase incollata sul volto! " E’ vero che si tratta di una trovatella? " Non udì la risposta di Bruno. " Non vuoi parlarne? Eppure tutta Portovenere ne è a conoscenza! "

Caterina divenne rossa per la vergogna: non aveva mai capito perché dovesse incontrare dovunque e sempre qualcuno pronto a rivangare la propria storia di donna senza origini, abbandonata da una madre che non si era preoccupata del futuro di quella figlia e da un padre che, con ogni probabilità non aveva saputo di esserlo." Allora? E’ vero? " incalzava l’altro. Caterina trattenne il respiro, immobile: era sicura che Bruno avrebbe detto qualunque cosa per bloccare quell'imprudente curioso.

" Si, e con ciò? Te l’ho già detto, alla mia età non posso andare molto per il sottile e poi…lei ha ereditato una casetta, lavora… è brava sai? "

Caterina ebbe la sensazione che cercasse di rassicurare più se stesso che non l’amico. Non riuscì ad ascoltare altro, lasciò cadere a terra la borsa con i gomitoli e, con un improvviso senso di nausea procuratole dal tentativo di trattenere le lagrime, si allontanò da quel posto e si diresse verso il parapetto della nave.

Provava rabbia e risentimento nei confronti di Bruno, si sentiva tradita, giocata da lui, sfruttata: con amarezza scopriva quanto fossero fondati i propri pensieri, colmi di dubbi, sui veri sentimenti di Bruno nei propri confronti; lui, uomo abituato a girare il mondo, cosa mai poteva provare verso di lei, una donna vissuta sempre in casa, in un ambiente ristretto quale Portovenere. Adesso era più che mai sicura che tanto interesse era dato dal fatto che avrebbe ereditato la casetta della signora Gastaldi!
Poi un altro pensiero, questa volta più doloroso, si insinuò nel suo cuore: il dubbio che quel matrimonio fosse stato organizzato dall’anziana Giacomina, che era zia di Bruno, perché in tal modo sarebbe stata sicura di non dover lasciare la casa dove aveva vissuto tanti anni come donna di servizio.

Fissò ipnotizzata lo sciabordare delle onde a ridosso della nave e le venne da pensare che per lei sarebbe stato meglio se si fosse lasciata andare in uno di quei vortici piuttosto che proseguire la propria vita solitaria in un’altalena di amarezza ed angosce legate al fatto oscuro della propria nascita ed aggravata, ora, dalla consapevolezza che non c’era una persona al mondo, nemmeno Bruno, che le volesse veramente bene: provò un brivido al pensiero di essersi illusa di poter costruire un futuro e credette che non le fosse concesso alcun futuro perché non aveva un passato: non sapeva da dove veniva!

" Forse è quella la mia casa! Forse è vero: mi ha portato il mare! Aveva ragione la Madre Superiora! " volte si era ripetuta così come gliel’aveva raccontata infinite volte la Superiora quando lei era ancora piccola e poteva godere dello stare seduta sulle gambe di quella donna vestita di nero e così magra da sentire su di sé il dolore che le procurava il contatto di quelle ossa, eppure, rifletté, quella suora era stata buona con lei: l’unico cuore che continuava a ricordare buono nei propri confronti.

Discesi dalla nave proveniente dall’America ed approdata nel porto di La Spezia, due marinai, su una delle tante casse depositate sul molo, avevano notato uno strano mucchio di panni, quasi un fagotto di quelli che le donne di paese una volta mettevano in testa e riuscivano a reggere con particolare eleganza. Con una logica curiosità avevano guardato cosa contenesse quel fagotto e, con non poco stupore, avevano scoperto che nel mucchio di panni, ed avvolta in una coperta di lana bianca ricamata con dei fiori colorati, ma strappata da una parte, c’era una neonata che tra le manine chiuse teneva un biglietto sul quale era scritto a matita: née le 18.4.1935.

I due uomini si erano guardati sbigottiti: " E’ nata sulla nave! " Subito si erano domandati chi, e con che cuore, avesse potuto abbandonare quella povera piccina, avvolta in stracci, senza nemmeno una copertina decente e che, avevano notato, aveva una delicata pelle ambrata. " E una bella bimba! " " Si direbbe una creola!"

Eccitati per la scoperta avevano portato la piccola al comandante del porto ed anche lui, pur se ormai abituato ad affrontare qualunque situazione con una certa dose di cinismo, era rimasto impressionato dalla presenza di quel fagottino che una donna, più cinica di lui, dopo averla partorita in una triste situazione, senza aiuti adeguati, aveva lasciato al freddo su quel molo.

Dopo aver letto e riletto il biglietto quasi avesse potuto trovarvi un indizio che potesse guidarlo alla ricerca della madre di quella piccina, aveva detto che doveva trattarsi di una francese e magari una donna di colore, e quindi la si doveva ricercare tra le passeggere discese dall’ultima nave da poco giunta in porto.

Claudia lo Blundo


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