La vita sociale - III^ Parte -
Il ruolo della donna
Ma c'era poi da lucidare "quarari" e "quarareddi" i cui cerchi di rame dovevano essere sempre puliti e lucidi; effetto che si poteva ottenere solo con l'uso, della rena bianca e finissima, il limone e...olio di gomito. All'epoca l'attrezzatura di cucina era quasi tutta di rame. Ed era un vanto per la donna mostrare il suo rame lucido. Ma oltre alle cose di cucina, bisognava tenere lucido anche il braciere, anch' esso di rame, che nei mesi invernali, infuocato di ardente carbone, avrebbe scaldato la casa e attorno ad esso si sarebbe raccolta la famiglia a trascorrere le giornate fredde.
Alcuni anni or sono mi capitò di vedere, pubblicate in un libro che illustrava alcune immagini della Sicilia e della sua vita, due foto di tavole di "astrattu" che io credetti fossero due quadri d'arte "astratta" Erano, invece, tavole di "astrattu" che la sapiente mano di una contadina aveva inconsciamente realizzato, tracciando segni, girigogoli a casaccio, nell'intento di fare raffermare il sugo di pomodoro esposto al sole; dando così origine a veri e propri dipinti di fantasia artistica. Del resto la vita dell'uomo, comunque la si realizzi, è sempre arte, fantasia.
Erano tanti i compiti, anzi i "doveri" che incombevano sulla donna: doveva fare anche i figli e se la sorte assegnava una filza di femmine, ne avrebbe scodellati tanti sino ad avere il sospirato "masculu", vanto e orgoglio della famiglia. E bisognava allevarli, allattandoli al proprio seno, naturalmente; seguirli a scuola e farli crescere meglio possibile; e se a sera il marito, tornando a casa, trovava un figlio che si era sbucciato un ginocchio cadendo, la colpa era della madre! La donna, insomma, era chiamata a tutte le responsabilità davanti all'uomo il quale, lo abbiamo detto, aveva solo il compito di mantenere la famiglia. Erano quelli tempi duri, tempi in cui la donna era veramente l'agnello sacrificale dell'uomo.
Come facessero a distinguere le proprie galline dalle altre non proprie, è sempre stato per me un mistero. Eppure ogni donna sapeva riconoscere le sue galline, alla stregua di come una madre sa riconoscere i suoi figli. Non c'era rischio che si sbagliasse! Se dopo tante ricerche, chiamate accorate, la gallina non si presentava all'appello, allora non c'era più dubbio: qualcuno l'aveva rubata, spennata, messa in pentola a fare il brodo. Caduta ogni speranza, la donna non si rassegnava ancora, anzi si agitava vieppiù: avanzava con le mani ai fianchi verso il centro della strada e lanciava maledizioni, augurando malanni d'ogni specie contro chi le aveva rubato la sua "pirnicigna" , della quale non mancava di esaltare le bontà più varie, e quante uova faceva al giorno e quanto era bella, giovane e come era sempre stata puntuale e precisa nel rientro a casa, assieme alle altre, come una ragazza di buona famiglia.
E non finiva qui perché la derubata, che nella notte non aveva chiuso occhio per il dispiacere, lambiccandosi il cervello per cercare di individuare l'eventuale ladro, il giorno appresso, all'alba, iniziava una vera e propria indagine per scoprire il colpevole, "mica per altro"- si diceva - "tanto ormai la gallina"ci l'appizzàiu": un qualsiasi segno, indizio che la portasse a scoprire il furbo ladro; così... tanto per saperlo. E cercava fra le immondizie nelle strade, nella speranza di scorgere una qualche piuma della scomparsa sua gallina: un indizio qualsiasi che la portasse a conoscere... sapere. E se i furbi ladri, per precauzione fossero andati a gettare le penne a "li cumuna", quella specie di immondezzaio generale, in terra di nessuno, di proprietà del Comune, che serviva da discarica, come si direbbe oggi, dove tutti andavano a depositare lo sterco raccolto nelle stalle, nonché i bisogni corporali dei bipedi implumi, e ogni altra immondizia, ebbene, anche in quel camposanto di ogni fetore, la derubata andava a cercare i segni eventuali della sua "pirnicigna".
E opportuno precisare che il camposanto di fetore si trovava fuori e distante dal paese; non tanto però che nei giorni di tramontana non se ne avvertisse sufficientemente la presenza nell' aria. Ed affinché non si pensi che quel fetore stesse sempre lì ad appestare l’aria, dirò che l'Amministrazione Comunale provvedeva tutti gli anni, nei mesi estivi, a bruciare il «raccolto» di un'intera annata che, pertanto si trasformava in fumo che annebbiava il sole e soffocava l'aria del paese per qualche giorno. Certo, tutto non si poteva avere!