La vita sociale - VII^ Parte -

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 28/11/2005
<b> La vita sociale</b> - VII^ Parte -

La vita sociale - VII^ Parte -

Aspetti di vita domestica

tratto da GIORNI VISSUTI COME SE FOSSERO ANNI di Liborio Guccione, giornalista e scrittore aliese, che ambienta tale sua opera nel paese natìo degli anni ’30 -’40 . Si ringraziano, per la gentile concessione, gli Eredi e l’Amministrazione comunale di Alia che nel 1997 ha curato la pubblicazione del libro.

" Dunque il braciere è stato per secoli (oggi, non più; forse non esiste più neppure come oggetto da museo), il solo ad avere scaldato e confortato i siciliani nei mesi freddi.

Era attorno al braciere che ai miei tempi si svolgeva - come nel tempo ancor più antico -la vita della famiglia la quale, essendo gli uomini validi tutti in campagna a lavorare, si componeva dei vecchi, delle donne e dei bambini: tutti attorno a quel fondo di legno al cui centro stava il braciere, dentro un buco.
Ricordo come era buono l'uovo cotto in mezzo alla cenere calda, ma non troppo, quella messa da parte nel braciere, che restava intiepidita. L'uovo veniva prima bagnato con l'acqua, ma più usualmente con una spruzzata di saliva, e messo fra la cenere:
in pochi minuti "l'uovu cirusu" (così si chiamava) era pronto; ed era gustoso! Anche il formaggio poteva essere cotto nella cenere: veniva: avvolto in un pezzo di carta, qualche volta un foglio strappato dal quaderno di uno dei figlioli, poi " 'mpurrazzatu " nella cenere: il formaggio si cuoceva e quando lo si scartava era come indorato, mentre la carta non aveva preso fuoco, si era appena annerita, anzi più marrone che nera.

Altra consuetudine era quella di stendere sul fuoco larghe fette di pane che venivano così abbrustolite. Poi vi si spalmava il "vino cotto" che si otteneva, nel tempo della vendemmia, attraverso una lunga procedura, facendo cuocere il vino .al quale venivano- mescolati vari aromi, come carrube, mele, bucce di arance, fichi secchi, ottenendone una sostanza quasi densa,
che veniva, appunto, spalmata sul pane abbrustolito: una vera leccornia, specie per i ragazzi.

Ogni tanto una mano tremante, incerta, che mostrava le vene gonfie, smuoveva il fuoco con una paletta di ferro o di rame, per ravvivarlo e dare più calore all' ambiente; ma subito si affrettava a ricoprirlo con la cenere, affinché non si consumasse troppo alla svelta il carbone o la carbonella.
Per evitare che l'aria si impregnasse del cattivo odore prodotto dal carbone, solevano mettere nel fuoco bucce di arance seccate.
In genere quel servizio di smuovere il fuoco, d' "arriminarlu" , o di coprirlo, era eseguito scrupolosamente dai più anziani; ai giovani non era consentito perché essi erano considerati troppo sciuponi.
Ogni volta che avveniva questo rimescolìo del fuoco, le donne più giovani allontanavano frettolosamente le gambe dall' orbita del braciere, per evitare che l'eccesso di calore producesse loro "li iaddi", ossia il fuoco producesse l'arrossamento delle gambe che poi a mostrarle con quelle macchie rosse era una vergogna: piuttosto le gambe fredde!
Quello di smuovere il fuoco era un gesto spontaneo, abituale, quasi un rito che si ripeteva sino all' ora di andare a letto, quando l'anziano copriva i resti del carbone nel braciere non ancora del tutto consumati, per riutilizzarli il mattino appresso. Sotto la cenere si conservava bene e lungamente.

Ecco, era attorno al braciere che si trascorrevano le ore, chiacchierando e ricordando i tempi lontani che, come si sa sembrano sempre migliori di quelli che si vivono nel presente. I ragazzi, che a quei discorsi non erano interessati, si annoiavano e i più piccini diventavano piagnoni e si asciugavano il moccio che colava dal naso sulla manica della giacchetta o, addirittura, con le mani. Ogni tanto qualcuno dei grandi si alzava per sgranchirsi le gambe, si affacciava alla finestra o davanti alla porta, guardava il cielo plumbeo, la pioggia scrosciante o la neve cadere a larghe falde, e tornava dentro, avvolgendosi nello scialle di lana che teneva sulle spalle, si calcava la "cuoppula" che teneva sempre in testa e se la toglieva solo quando andava a letto, affrettandosi a riprendere il posto davanti al braciere; magari allungando il pensiero ai propri uomini che in campagna erano ad attendere alle loro fatiche.

Le donne facevano la calza o la "puntina"o rammendavano i vestiti consumati dal tempo e dall'uso.

La giornata passava lenta, monotona e quando la campana della Matrice suonava "un' ora di notte" fuori già la luce del giorno non c'era più; e allora la vita dentro la casa assumeva un aspetto, un ritmo diverso, più impegnato.

Cominciavano i preparativi per la cena e poi per la notte: le donne innanzitutto erano le più indaffarate. Accendevano i lumi a petrolio e inzeppavano di sarmenti secchi i fornelli, affinché il fuoco fosse più carico e l'acqua nella "quararedda " bollisse presto per cuocere la pasta-artigianale'>pasta, ché già gli uomini dalla campagna non avrebbero tardato a giungere, e bisognava saziarli; e poi c'erano i bambini che a quell' ora già smaniavano di sonno.

Il solo segno che la vita pulsava ancora, nonostante i rumori si fossero attutiti e tutti parlassero piano come se temessero di turbare il silenzio tutt'attorno, il solo segno di vita che si esternava fuori, dicevo, era quel filo grigio di fumo morbido e silenzioso che si involava tiepido, attraverso il fumaiolo, arrampicandosi nell' alto, come per liberarsi da una malsofferta prigionia.

Si andava a mescolare al buio, si associava alla nebbia che come fuliggine cadeva molle sui tetti delle case. Quel filo denso di fumo era l'ultimo saluto degli uomini al giorno che se ne andava e il primo saluto alla notte che subentrava. Il buio fuori faceva più triste la pioggia e la neve. Accadeva qualche volta che i fili di pioggia ondulati dal vento, i fiocchi di neve che lenti scendevano, silenziosi e discreti, venissero scorti da dentro le case nel buio delle strade, fiocamente illuminati dalla proiezione della luce di un lume a petrolio che dai vetri di una qualche finestra prepotentemente filtrava, come fosse una lanterna magica, mettendo a fuoco il particolare di quello spettacolo che la .natura offriva alla gente sul palcoscenico di un paese disincantato.
I bambini allora, attratti da quelle visioni, se ne stavano col naso appiccicato ai vetri delle finestre ad ammirare la pioggia che scintillava sotto i riflessi della luce, ad osservare rapiti, affascinati la neve che civettuola pareva volersi attardare nella sua soffice discesa per mostrare l'eleganza della sua danza nell'aria fredda. "


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