La vita sociale - VIII^ Parte -

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 28/11/2005
<b> La vita sociale</b> - VIII^ Parte -

La vita sociale - VIII^ Parte -



Aspetti di vita domestica

(seguito)

tratto da GIORNI VISSUTI COME SE FOSSERO ANNI di Liborio Guccione, giornalista e scrittore aliese, che ambienta tale sua opera nel paese natìo degli anni ’30 -’40 . Si ringraziano, per la gentile concessione, gli Eredi e l’Amministrazione comunale di Alia che nel 1997 ha curato la pubblicazione del libro.

" Ma ecco che improvvisamente l'incantesimo viene interrotto dal calpestio dei muli che entrano nella stalla, qualche volta collocata a ridosso magari della cucina: sono gli uomini che tornano dalla campagna.

Allora tutta la famiglia si mette in agitazione, le donne accorrono premurose coi lumi in mano per illuminare la stalla, per collaborare, mentre i loro uomini legano le bestie alla mangiatoia e scuotono i grossi scarponi carichi di creta, prima di entrare nella cucina.
La pasta-artigianale'>pasta è già cotta, le donne riempiono i piatti che fumanti portano in tavola, mentre tutti si apprestano a prendere posto.
Pasta col cavolo, un piatto. abbondante e magari poi si fa anche il bis, perché tanto, dopo, non c'è il "secondo": la cena è tutta lì, tutt'al più completeranno con un po' di pane e "tumazzu", olive, insomma quello stesso che a mezzogiorno aveva fatto da primo e da secondo. Perché in Sicilia, almeno nelle zone agricole, il desco più importante non era quello del mezzogiorno, ma della sera; a mezzogiorno un pezzo di pane e "tumazzu", o cipolle, o a seconda della stagione pane e "racina", fichi o pomodori; una colazione frugale, "tanto per fermare lo stomaco".

Alla sera, tornavano gli uomini dalla campagna, e allora si cuoceva la pasta-artigianale'>pasta, che era il pasto preferito e quello che saziava di più. La carne era una rarità che pochi potevano permettersi, ma non tutti i giorni veh, solo la Domenica e nelle altre feste comandate. La maggioranza della gente, se non sacrificava qualche vecchia gallina, carne non ne mangiava e dal macellaio si andava due, tre volte all' anno! In questi nostri tempi si fa un gran parlare di dieta mediterranea, i medici vi si raccomandano, e hanno ragione, ma la dieta mediterranea era quella di cui ho parlato, e se venisse così applicata ci sarebbero sicuramente meno obesi e meno colesterolo a intasare le arterie della gente di questa società del consumismo.

Terminata la cena, nel silenzio più opprimente, ognuno si alzava da tavola, borbottava un saluto e se ne andava a letto.
Rimanevano nella cucina-soggiorno il braciere con i resti del carbone non ancora consumati dal fuoco, opportunamente coperti con la cenere. Le donne si affrettavano, dopo avere messo a letto i figlioli, a rigovernare e, appena messo tutto in ordine, stanche e vogliose di sonno se ne andavano a letto pure esse. I lumi venivano spenti, il silenzio piombava assoluto nelle case, tutto veniva inghiottito dal buio: uomini e cose.

Vegliava sugli uomini e sulle case l'imponente chiesa che dall'alto del monte lanciava il misurato rintocco dell'orologio che cadenzava il trascorrere del tempo. Quei suoni felpati che inondavano l'aria gelida della notte, erano la sola voce che confortava le smanie che travagliavano nella veglia gli uomini, che placavano le loro ansie, le loro paure e li conciliava al fine col sonno. Senza quei rintocchi vaganti, la notte sarebbe divenuta più triste, più cupa: essi sfidavano il turbinio del vento, la furia della tempesta, le frecce luminose dei lampi e l'urlo dei tuoni; erano sentinelle impavide che vegliavano i sogni degli uomini e il sonno innocente dei fanciulli.

Se in una notte, improvvisamente, quei suoni si fossero spenti, se non avessero più riempito l' aria, gli uomini si sarebbero svegliati allarmati, i bimbi avrebbero pianto di paura perché quei suoni erano parte della notte, erano parte della loro vita. E anche I contadini nella profondità della campagna ai quali dal paese giungeva l'eco di quei rintocchi, si sarebbero allarmati perché per essi il suono dell'orologio, come delle campane era un messaggio che giungeva dalla loro comunità, la voce delle loro famiglie, che li accompagnava nella fatica quotidiana e nelle notti solitarie.

Nei tempi che viviamo i suoni si sono moltiplicati, ma non uniscono più come in quel tempo; piuttosto disperdono, non confortano e non annunciano solidarietà, sicurezza: sono semplicemente assordanti. Così l'umanità fra tanto rumore è più sola, si raggomitola su sé stessa, diventa sempre più indifferente: non ascolta più. Forse verrà il giorno in cui la vita sarà solo frastuono, rumore
assordante? No. Prima che ciò avvenga gli uomini devono fermare il frastuono che assorda, che turba la coscienza, che spinge verso il disordine, il caos, che conduce alla perdizione di tutti i valori creati, costruiti per fare spiccare all'uomo il volo verso le più alte vette delle libertà. No, il disordine non può, non deve trionfare: guai all'uomo se dovesse perdere la battaglia per un nuovo ordine morale, civile che lo distingua dall'istinto animalesco, che gli restituisca il privilegio dell'intelligenza, della sua capacità di discernimento tra ciò che è il bene e ciò che è il male. No, quello che stiamo vivendo è aberrante, ma è solo un momento: la coscienza civile vincerà anche questa battaglia.

Ogni volta che il mio pensiero si sofferma sui ricordi di quelle notti d'inverno un particolare mi torna alla mente, un particolare che mi allieta ancor oggi lo spirito. Mi sovvengo di quando, nei giorni delle vacanze natalizie, andavo a dormire da mia nonna Emilia (che noi chiamavamo "mamma" Emilia), una simpatica e intelligente donna che sapeva ben dosare la sua dolcezza con la severità dei principi morali e della buona creanza.

Era ormai diventata una consuetudine che in quei giorni, a turno, mio fratello e io si andasse a dormire dalla nonna che abita va di faccia alla nostra dimora alla quale si poteva accedere da due strade.
Io dormivo in una stanza attigua a quella dove dormiva la nonna, ma con la porta intercomunicante aperta. Prima di addormentarmi la voce della nonna mi giungeva puntuale a ricordarmi i "doveri" :" Hai detto le preghiere? "
"No, non ancora nonna"
"Allora dille appresso a me" e così recitava: "io mi curcu 'nì stu liettu, cu Gesuzzu 'ni lu piettu. io duormu, iddu vigghia, si c'è cosa mi struvigghia"
E mi dettava, con la sua voce carezzevole, pure il segno cristiano. Ed aggiungeva subito: " Ora duormi!" - Ed io di rimando le chiedevo la benedizione.
Io credo che quella preghiera venisse da lontano, credo fosse la preghiera che le faceva recitare un tempo la sua nonna. Non la sentii pronunciare mai ad altri. Era la sua preghiera quella con la quale nella sua vita si era sempre raccomandata, prima di addormentarsi.
Il dono migliore della vita sarebbe quello di rimanere sempre fanciulli!
Il sentimento religioso te lo trovavi impresso come un sigillo della vita; era un sentimento istintivo, come l'amore per la mamma, per il papà...

Il sentimento religioso andava a far parte dell'educazione, veniva trasmesso al fanciullo sin dalla tenera età. Così che egli se ne nutriva con la stessa naturalezza con cui si nutriva al seno della madre. Al fanciullo, prima ancora che imparasse a parlare, gli si insegnava a mandare bacini a Dio (fatto chiamare dai grandi "Deddè" ) e il bimbo seguendo il gesto della madre, portava una manina alle sue labbra e poi la volgeva all'immagine di Dio: un bacio volante che il bimbo mandava senza consapevolezza, senza capirne il significato, ed era per i grandi un modo semplice ma efficace per fare accostare l'innocente a Dio e per provare essi stessi tenerezza, commozione. Così attraverso quella, oserei dire, naturale educazione, il fanciullo man mano si veniva a trovare legato idealmente, sentimentalmente alla religione, e via via che cresceva ne seguiva le pratiche come impegno doveroso della sua vita quotidiana.

Io credo che si dovrebbe dire più veramente che l'uomo nasce religioso.

Nel senso che la vita è la religione , nella quale l'uomo poi identifica Dio, il Creatore, alle cui leggi si impegna, assumendone la fede e ad uniformare la condotta della sua vita. Verificare in che misura e se risponda sempre a tale impegno è cosa ardua, ed è meglio lasciarne la verifica alla coscienza di ognuno.
Ma non c'è dubbio che la religione è vista come servizio alla vita per esaltarne i valori e renderla degna di essere vissuta. Ne consegue allora che di nessuno si deve dire: costui non ha religione. Perché, in realtà, ogni uomo, anche quello che si dice distante da Dio, nel suo intimo vive la sua religiosità; quella; appunto, che gli fu donata nel momento stesso in cui emise il primo vagito.
Poi, nel di spiegarsi del tempo, la vita si incaricherà di riempire il bagaglio dell'esistenza di tanti altri valori che lo aiuteranno a vivere nel meglio e nel più giusto possibile.

Ma il bagaglio conterrà anche disvalori i quali disorienteranno l'uomo, sino anche a perderlo.

Così può accadere di disperdere lungo il cammino quei valori autentici che lo avevano sorretto e che gli avevano dato sicurezza e speranza. E allora l'uomo sentirà il bisogno di rifugiarsi nella dimensione del passato, perfino in quell'essere stato fanciullo; non come momento di ricordo soltanto, ma come momento di riflessione, di raccoglimento, di conforto perfino. Avvertirà una spinta nuova che lo condurrà verso il rifugio del passato per sentirsi nuovamente fasciato da quella religiosità che aveva dato principio alla sua vita.
È così che volgendoci indietro ci si accorge che di tutto ciò che avevamo raccolto sul viale della vita, la sola cosa che riempie ancora l'animo di tenerezza è quella voce della nonna che ci diceva: " iu mi curcu ni 'stu liettu..."
Qualcuno potrà scorgere in ciò un momento di debolezza, una arrendevolezza, o più semplicemente un cedimento al sentimentalismo... E sia! Ma se all'uomo, in così tanto vuoto e in tanta pena che lo subissano gli togliete anche la forza del sentimentalismo, egli resta nudo come un verme! "




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