LE TRADIZIONI - V^ Parte -

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 02/12/2005
LE TRADIZIONI  - V^ Parte -

LE TRADIZIONI - V^ Parte -

Tratto da GIORNI VISSUTI COME SE FOSSERO ANNI di Liborio Guccione, giornalista e scrittore aliese, che ambienta tale sua opera nel paese natìo degli anni ’30 -’40. Per la gentile concessione alla divulgazione telematica del libro, si ringraziano sia gli Eredi dell’Autore sia l’Amministrazione comunale di Alia, che nel 1997 ne ha curato la prima edizione.


La Pasqua


" Con la festa della Pasqua si festeggiava anche la primavera che al mio paese scoppiava assai presto. E la Pasqua a Lalia si celebrava con solennità.
Da ragazzo, ricordo però che i giorni precedenti la festa di Resurrezione, mi intristivano. La Mamma, durante la settimana santa portava noi bambini a visitare i "Sepolcri" , facendoci fare il giro di tutte le tre chiese: Matrice, S. Anna, S. Giuseppe. Le chiese erano semibuie, appena illuminate dalla luce fioca di qualche candela; e gli altari mostravano i santi coperti da drappi viola, e così pure i crocifissi, i quadri: tutto era lugubre, triste. Perfino i colori dei fiori posti davanti all`altare maggiore, debolmente illuminati dalle tremule fiammelle delle candele e dei lumini, venivano falsati, apparivano come appassiti, spenti. E anche i lineamenti della folla dei fedeli inginocchiati davanti all` altare, nella penombra si scorgevano affilati, come fossero malati: tutto era funereo. lo non vedevo l`ora di uscire dalla chiesa per sentirmi liberato da quell` oppressione che mi durava poi tutto il giorno. Io, dicevo alla Mamma di quel mio malessere interno, che mi faceva tristezza la chiesa semibuia, ma lei mi spiegava allora che quel mio stato era la pena che provavo per la morte di Gesù.


La Settimana Santa mi pareva lunga, infinita, e attendevo con trepidazione il giorno della Resurrezione di Gesù per riudire nuovamente le campane suonare a distesa, allegramente; vedere gli altari, le statue dei santi senza più drappi e la chiesa tornare alla luce, col sole che penetrava dall`alto dei vetri colorati; risentirmi vivo, gioioso e godente di quella primavera; e la gente tornare a sorridere. Era giorno di festa, di allegrezza per gli uomini di buona volontà, simboleggiata dalla pecorella, fatta di pasta-artigianale'>pasta di mandorle (o anche di zucchero) e "li pupi cu l`uovu". La gente si recava a messa portando, avvolti in candidi tovaglioli, "li pupi cu l`uovu" per farli benedire dal prete al quale la comunità, attraverso le confraternite, donava una bella pecorella di pasta-artigianale'>pasta di mandorle, con la bandiera rossa sulla schiena. La pecorella non era alla portata di tutte le tasche, ma "li pupi cu l`uovu" sì, non mancavano mai, anche perché, in definitiva, erano fatti di farina come il pane, solo che gli davano una forma bizzarra, che so io, di un gallo o di un pupo, appunto, con un uovo al centro che, spesso, era tinto di rosso o di altro colore; facendo così la gioia dei bambini che si mostravano fra loro le fantasie delle forme del pupo e del colore dell`uovo.


Altro dolce tradizionale della Pasqua era la cassata siciliana; ma questa compariva, per la verità, sulle tavole di pochissime famiglie, e don Attilio le faceva proprio su ordinazione.
Ma della Pasqua ho memoria di due momenti particolarmente toccanti: la processione e il martorio. La processione si snodava per le vie principali del paese, seguita da tutto il popolo che salmodiava e pregava. Ma il momento più emozionante era quello in cui avveniva, a un certo punto, l`incontro della Madre col figlio Gesù crocifisso: la Madre intristita dal dolore avvolta nel suo manto nero, il figlio con le carni straziate. La gente osservava quell` attimo d`incontro, guardando ora la Madonna ora il Cristo, con una, tensione particolare, come se si attendesse che la Madonna scendesse di slancio e corresse ad abbracciare Gesù, a curargli le ferite sanguinanti.


Il martorio era la rievocazione storica del martirio di Cristo. La gente, quando si avvicinava l`ora della recita, partiva dalle proprie case, recando in mano o sulle spalle una sedia, creando un`atmosfera inusitata lungo le strade, solitamente solitarie e silenziose. Le case si svuotavano e tutti, grandi e piccini, si indirizzavano verso la strada dritta, per giungere davanti alla chiesa di S. Anna dove era allestito un palco per la recita del martorio. E ciascuno si affrettava a giungervi presto per occupare i posti più vicini al palco, onde godersi meglio lo spettacolo e udire, soprattutto, più chiaramente la voce degli "attori".Gli attori erano uomini e donne del paese, gente semplice che si prestava a fare ognuno la sua parte: il Cristo, la Madonna, Giuda... ce la mettevano tutta per recitare bene. E in qualche misura ci riuscivano abbastanza, a giudicare di come la gente seguiva con religioso silenzio le varie fasi della storia che condusse Gesù Cristo sulla Croce. La gente sottolineava le scene più toccanti, più commoventi con applausi e anche con abbondanti lagrime. E, addirittura, durante le fasi in cui la soldataglia romana picchia il Cristo sotto il peso della croce, si sentiva qualche voce di protesta levarsi dal pubblico, come se la gente vivesse nella realtà quelle scene brutali.


Tutto un paese raccolto, stipato lungo quella strada pendente, seguiva muto quegli attori improvvisati che facevano rivivere uno dei momenti più importanti della storia dell`Umanità. Una storia che ricordava agli uomini, attraverso le sofferenze del Martire del Golgota,come essi pure dovessero affrontare le sofferenze, le pene della vita senza mai rinunciare alla loro fede, senza mai rinunciare alla loro speranza di liberazione, lottando, come Egli aveva lottato, contro le ingiustizie e i tiranni. Finita la recita, si caricavano le sedie sulle spalle e tornavano a casa, ancora sotto il peso dell` angoscia per quello che avevano visto. Man mano, lungo le strade, la gente si lasciava andare nei commenti sulle varie fasi dello spettacolo, soffermandosi sui particolari più toccanti, e non trascurava di esprimere giudizi sugli "attori" e sulla loro bravura.


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