SICILIANO: LA NUOVA LINGUA DELLA VECCHIA ITALIA

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 30/05/2006
SICILIANO:  LA NUOVA LINGUA DELLA VECCHIA ITALIA

SICILIANO: LA NUOVA LINGUA DELLA VECCHIA ITALIA

Articolo di PIETRANGELO BUTTAFUOCO, tratto da "Panorama" del 25maggio 2006.


Ricerca a cura di Antonio F. & Roberto M. , operatori culturali dello “Sportello”.


" Tutti dicono I love you.


E tutti se lo scrivono su un pizzino. Se c’è infatti una lingua che dilaga tra slang, gergo, tendenza e alta letteratura, quella è solo la lingua siciliana. Perfino la Wikipedia, la più diffusa web-enciclopedia nel mondo, ha la sua pagina in siciliano; e se in un motore di ricerca viene inserita quella che in latino si dice “mentula” è certo che ne verrà fuori un precipitato di citazioni superiore alle parole panettone, polenta e perfino Sant’Ambrogio.


Incautamente definita dialetto da puristi mezzacalza la lingua più croccante del Mediterraneo ( con radici arabe, latine e greche ), la lingua di Luigi Pirandello e di Andrea Camilleri, quella ragnatela di raziocinio e genio che fa la sintassi di Leonardo Sciascia e Francesco Merlo, è piuttosto matrice di una moda irresistibile che dai completi Dolce & Gabbana ai duetti di Ficarra e Picone ( ultimamente a Striscia la notizia ), dai successi di Montalbano in tv fino ai più dettagliati fotogrammi di Giuseppe Tornatore, da Pippo Baudo a Igor Man, ad Archimede, ha avuto la sua ultima epifania coi “pizzini” di Bernardo Provenzano.


Sono questi una sorta di madrigali della minaccia, a volersela spiegare alta, più semplicemente, invece, sono i foglietti di un sistema di comunicazione cartacea della mafia. E poiché la lingua è linguaggio, codice d’identità, la formulazione è stata adottata poi nella didascalia del quotidiano per spiegare i messaggi sottotraccia della politica nelle votazioni per la presidenza del Senato e per il Quirinale. Per non dire del mandarsi a dire. Sono insomma, queste volatili cartuzze, il nuovo modo di raccontare un pensiero per cui anche i Baci Perugina, per esempio, sono avvolti nei pizzini e si sa che tutti, proprio tutti, dicono I love you.


In principio fu la “parola d’onore”, titolo adesso di un compact disc di successo di Roy Paci, colonna sonora di trasmissioni come Zelig, ma è passato mezzo secolo per riscattare l’immagine del siciliano dalla macchietta cinematografica del gelosissimo. Paci con il suo gessato e l’inseparabile tromba è ormai una star della musica pop. Ha perfino avuto la sua consacrazione in almeno quattro degli ultimi concertoni del 1° maggio, ovviamente ebbe il suo battesimo televisivo nella prima e felice edizione di Stasera pago io, lo show di Rosario Fiorello, e non solo perché i due sono compaesani di Augusta ma perché la versione reggae di Vitti na crozza è uno degli assoluti capolavori della musica contemporanea, buona per essere ballata a Berlino come a Giacarta.


Se qualcuno poi ha curiosità rispetto al panorama dei nuovi suoni, faccia pure incetta dei Tinturia, una strepitosa band. Sono ospiti fissi di Viva Radio2 , la più bella trasmissione radiofonica di tutti i tempi e di tutti i mondi. Ma che colpa ne ha Fiorello se poi , con il suo ”scruscio di carretto”, ovvero con il suo “rumore di Sicilia “, realizza l’unica concreta e potente forma di egemonia culturale?


Tutti dicono I love you e tutti si passano i pizzini: Maurizio Crozza gioca con la sua parodia di Vito Corleone a fare il siciliano e il sardo Giovanni Floris ha battezzato la sua trasmissione Ballarò , non Mammuttones. Perfino il grande Domenico Modugno, pugliese, soggiogato dal furibondo successo di due suoi protetti, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, giocava sull’equivoco di farsi prendere per siciliano. Lo faceva anche Pietro Germi con la sua leggendaria passione sul grande schermo per i siciliani alla Saro Urzì. Ma anche il cinema con la C maiuscolissima di oggi, che non è certo quello di Nanni Moretti ma quello di Ciprì e Maresco, parla la lingua del carretto.


Niente di provinciale, nulla di insulare, al contrario: il siciliano che dentro di sé tiene l’astrolabio arabo, la liturgia latina e il fuoco greco è crudeltà ad alzo zero. Ne sa qualcosa il maestro Alberto Veronesi, figlio del più famoso Umberto. Chiamato a dirigere un concerto al Massimo Bellini di Catania, proprio dagli orchestrali ancora seduti nella cavea Veronesi ebbe la sua succosa recensione: “come fu, come ti parve questo nuovo maestro?” “Che ti debbo dire”- rispose un oboe: “tanto tumore per nulla!”.


Il Siciliano è la lingua madre di tutte le tendenze se si pensa appunto che lo spartito della poesia ultima dopo Lucio Piccolo ha trovato in Franco Battiato (in collaborazione con Manlio Sgalambro, autore Adelphi, tra i massimi filosofi contemporanei) il depositario di una spiritualità che parla al grande pubblico. Più che un marchio è una marchiatura quello del destino siciliano. Un più che giustificato sentimento di superiorità costringe la sicilianitudine a farsi parametro per tutti. In politica, per dire, nessuno può fare a meno di Emanuele Macaluso, né di Lillo Mannino. E non si può fare a meno delle vicende siciliane perché sono il laboratorio di tutta l’alchimia prossima ad accadere altrove.


L’avventura di Enrico Mattei, parabola dell’Italia incapace di darsi una politica energetica indipendente (al netto di terrorismo), ebbe il suo presagio in Sicilia ma ancora oggi l’alito della mafia dilaga ben oltre la formula del Padrino, che pure è la vera bibbia delle frasi fondamentali per fare figura in società. Ognuno ha sempre un qualcuno cui fare una proposta che non potrà rifiutare.


Si legga Nuvola Rossa (edizioni Flaccovio, € 10,00), ovvero, “i paradossi che si rincorrono e la maledizione siciliana raccontati da Mimì La Cavera”, il primo presidente della Sicindustria. Non è esattamente un repertorio buono per le muffe degli annali, anzi è il racconto della stagione dei protagonisti, l’ha scritto la baronessa Marianna Bartoccelli di Altamira e c’è l’ulteriore prova che l’aristocrazia dell’isola non produce sfessati buoni per i reality, ma acute croniste e grandissimi film. Mai sazi del Gattopardo, il film di Luchino Visconti tratto dal capolavoro di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, sarà difficile saziarsi del prossimo grande film in corso d’opera: I Viceré, dal grande romanzo di Federico De Roberto, per la regia di Roberto Faenza.


Ancora in libreria, per le eroticissime Librette di Controra, perché la sicilianità è appunto rovente sessualità, a fare avvampare di rossore la pur catanese Melissa P. adesso c’è Baldo Licata con L’oscura meraviglia. Dialogo con un libertino, un volume che già è andato a ruba al Salone del libro di Torino. La marchiatura è proprio cosmopolita, universale, il più efficace passaporto per il mondo. Due grandi produzioni teatrali hanno dettato legge sui palcoscenici d’Italia: Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller con la Bruccolino degli immigrati siciliani cantati da Sebastiano Lo Monaco (nativo di Floridia) e l’Uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello con il catanese Leo Gullotta.


E a proposito di cultura solo un siciliano cresciuto a pane e dignità come Fiorello può consentirsi il lusso di rifiutare una laurea honoris causa.”Non è giusto nei confronti di chi si fa un mazzo così a studiare, che c’entro io con laurea? “. Tutti dicono I love you ma alle due del pomeriggio mezza Italia incolla l’orecchio alla radio per godesi Fiorello, coi miei occhi ho visto gente indifferente al tassametro, incollata sul taxi per continuare ad ascoltare Viva Radio2, e sono sempre più quelli che si piazzano gli auricolari, opzione radio, per sentirsi Fiorello che parla di “’nginagghi”. Sarebbero gli inguini, ma detta così, in siciliano, tutto diventa rosa fresca aulentissima comprensibilissima a Bergamo come a Bengasi.


La casa editrice Einaudi ha già programmato per settembre l’uscita di Nostra Signora della Necessità , un libro di Peppino Sottile, maestro della cronaca, nonché inventore di termini di uso comune nel giornalismo quale il celebre “Mascariato”, in riferimento agli indagati di mafia, o “piritollo”, radice del più allargato “piritollame”, ovvero genìa di deficienti divertenti, i presunti intellettuali à la page.


Certo, tutti dicono I love you ma non c’è lingua che tra fraseggio, arpeggio e solfeggio, tanta è la sua musicalità, riesca a comprendere nella sua struttura perfino “l’imperativo popolare”. Rubo la categoria a Emanuele Ciccarelli, autore di un fondamentale libro (Sigma edizioni, € 5,00) proprio su quel “Suca ! “ con cui il popolo assolve gli obblighi della poetica e della retorica. La copertina, ostentando un mirabile esemplare di tifoso, recita una variazione dedicata al giocatore che pìù d’ogni mafiata ha provocato a Palermo:”Suca Toni! “.


Ogni volgarità, nella sua totale esasperazione, è elevata al rango di paradosso, ogni metafora, con buona pace di Umberto Eco, è opera aperta, infatti non si sa mai di che erba è fatta la scopa e non si capisce se l’augurio è malaugurio, se la promessa è vendetta, se purtroppamente si arriva a perdonanza.


La testa ci fa dire - disse a suo tempo Marcello Sorgi in felice coppia con Camilleri, e indimenticabile tra le faccende di testa resta nella storia della comunicazione lo slogan che adottò la Bompiani per salutare in Sciascia e Gesualdo Bufalino i due vertici della letteratura italiana: “i siciliani, pur di non lavorare scrivono”. Tutti, insomma, diconoI love you, ma “kiss pack you see” nasconde un trucco di semiotica (scopritelo) come neppure il più acuto dei gesuiti saprebbe calcolare tra le insidie della regione. E magari c’è sempre quella che i latini chiamano “mentula”, ovvero “minchia”, di cui si contemplano le seguenti variazioni “malaminchiata” (perché non sempre tutto è positivo), “minchia annidata” ( perché a volte nevica), “minchia atturrata” (abbrustolita anziché no, e sempre declinata al femminile). "


Nella foto, Rosario Fiorello


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