Omaggio a Mio Padre

Radici & Civiltà

MACALUSO MARIO MACALUSO MARIO Pubblicato il 19/11/2006
<b>Omaggio a Mio Padre </b>

Omaggio a Mio Padre


E’ con riverenza ed amore filiale che mi permetto di condividere con i lettori telematici il ricordo della nobile figura di mio padre, uomo virtuoso e profondamente buono.

Mio padre nacque a Polizzi Generosa (Provincia di Palermo), il 10 giugno del 1898 proprio alla fine del diciannovesimo secolo.

Polizzi Generosa, a 917 metri al livello del mare, appare al turista come un mucchio di case sospese fra cielo e terra nel cuore delle Madonie occidentali.

Lo scrittore e critico letterario, Giuseppe Borgese, oriundo di Polizzi, cosi descrive l’odore e il colore delle campagne che ancora oggi circondano questo paese la cui storia rimonta a duemila e cinquento anni fa.

Lassù nelle Madonie quell’odore di mentastro polizzano, oleandri lungo la valle classica, olivi di greppo in greppo, mente, timi, erbe dagli aromi religiosi, vette chiare calanti a schiena, infine il mare e Imera. Non si vede altra città o villaggio. Polizzi Generosa drappeggiata nel suo superbo epiteto, torreggia da sola

E in un altro brano altrettanto famoso il Borgese scrive cosi:


Polizzi Generosa sorge su un alto colle da cui si scorge una ampia e pittoresca veduta formata dai contrafforti delle Madonie, da due vallate una delle quali verdeggiante di noccioleti, e dal mare lontano.

E’ questo il paese natale di mio padre dove passò la maggior parte della sua vita nella semplicità della campagna coltivando la terra sull’esempio di una tradizione secolare. Più tardi, a diciotto anni, lasciò il lavoro dei campi per combattere nella Prima Guerra Mondiale per cui si meritò la Croce di Guerra, la Medaglia D’Oro e il titolo onorario di Cavaliere di Vittorio Veneto. Fu dopo tre anni di servizio alla patria che ritornò al paese e alla sua amata campagna.

Nel lavoro dei campi mio padre si dedicò con grande impegno e con devozione totale, aiutato com’era dai mie fratelli maggiori. Dall’alba al tramonto, e con grandi sacrifici, non si stancò mai di coltivare la terra per mantenere la famiglia.

Ricordo mio padre quando lui era molto giovane ed io ero ancora bambino. Dopo tanti anni lo rivedo in mente col viso abbronzato dal sole e le mani incallite. Era un uomo facile e buono, mio padre. Aleggiava in lui una semplicità schietta e genuina, e un’anima cristiana che non conosceva il rancore. In lui batteva un cuore che non odiava e che sapeva sempre scusare e perdonare.

Uomo molto gentile e sensibile, anche se non sapeva esprimere il suo affetto con parole fiorite o eccessiva effusione sentimentale, mio padre era amato e rispettato da tutti, specialmente da mia madre, da noi cinque figli e dai parenti.

Nel 1955 mio padre lasciò la campagna per emigrare in America dove venne incontro a un ritmo di vita diverso quando sbarcò a New York. Fu proprio in questa vastissima città che dovette imparare a prendere il pullman (niente più mulo, asinello o viottoli polverosi) ed a viaggiare nella buia e cavernosa metropolitana malgrado il fatto che non sapesse né leggere e né scrivere perché non era mai andato a scuola.

(Al principio del ventesimo secolo, pochissimi genitori sentivano la necessità di mandare i figli a scuola, per imparare almeno a leggere e a scrivere. I maschi, poi, erano destinati al lavoro dei campi. A quei tempi, specialmente in Sicilia, si nasceva contadini, si cresceva contadini, e si moriva contadini.)

Lontano dalla sua amata campagna e dal nido natale, c’era ora davanti a mio padre tutta una megalopoli da affrontare con la sua lingua e costumi diversi. Prima di allora non aveva mai immaginato di emigrare in America o di stabilirsi a Brooklyn, dove esisteva una fiorente comunità italiana con molti polizzani. Ma fu il piano della Divina Provvidenza che, spingendolo a fare un passo gigante, lo trasportò insieme alla sua famiglia dalla campagna alla città, dal paesino dei ficodindia e degli oleandri alla grande metropoli di New York con le sue vie larghissime, con le automobili, e i suoi grattacieli. Questo trasferimento influenzò non solo il suo futuro, ma anche quello di tutta la sua famiglia e sopratutto il mio coi miei studi.

In America mio padre accettò la sfida di vivere in un mondo diverso dal suo e molto lontano dalla realtà quotidiana della vita contadina e provinciale di un piccolo paese. A cinquantasette anni, (proprio all’età quando io andai in pensione.) riprese invece a lavorare all’aperto curando giardini e aiuole. Era questo un lavoro che sapeva e che amava fare. Ma d’inverno, trovandosi spesso disoccupato, spalava la neve nelle vie di New York. Seguì poi un lungo periodo di impiego al cimitero cattolico di Saint John dove aiutava a seppellire i morti e ad abbellire le loro tombe con cuore pietoso e con grande carità.

Quanto lavoro e quanti sacrifici fece mio padre per tanti anni con fedeltà, dignità e orgoglio! E che grande esempio fu sempre per me!

Adesso che mio padre non c’è più fra di noi, ricordo la sua persona come il libro più bello che io abbia mai letto durante tutta la mia carriera di studi letterari, filosofici e teologici che ho fatto in Italia e nelle varie università americane.

Da questo libro semplice e prezioso, arricchito di pagine bellissime, ho imparato i valori base della mia vita: l’onestà, l’amore, l’etica del lavoro, il rispetto per il prossimo e, poi, tanti altri valori morali che continuano a definire e a guidare la mia vita quotidiana restando, tuttora, il faro che illumina la mia barca nel mare della vita.

Uomo di poche parole e non istruito, mio padre fu il mio sommo maestro. Fu lui a insegnarmi la saggezza secolare dei nostri avi con proverbi tradizionali siciliani, trasmettendomi così l’essenza di quei principi sociali e morali che nessuna ricchezza potrà mai darmi il potere di comprare.

Fra le cose più belle che io custodisco per sempre nel mio cuore c’è un regalo che mio padre mi fece il giorno della mia nascita. E’ il regalo prezioso del suo cognome che porto, difendo e onoro con la mia etica personale e il mio successo professionale.

La sua bontà traspariva nella gentilezza e nel rispetto che mostrava verso gli altri e anche per noi figli che gli volevamo tanto bene, specialmente mia sorella Rosa che sapeva coccolarlo. Anche mia madre gli manifestò un profondo amore coniugale e una devozione fedele che durò per più di sessanta anni di matrimonio.

Mio padre apprezzava le piccole cose: una cartolina, una visita a casa sua a Brooklyn, una telefonata e anche qualche mazzetto di fiori. Amava tanto la compagnia per passare un pò di tempo insieme.

Lo vedo ancora vicino alla finestra o presso l’entrata ad aspettarci quando sapeva che andavamo a fargli visita in occasione di feste religiose e anniversari. E di feste ne facemmo tantissime, come il suo cinquantesimo e settantesimo compleanno, il cinquantesimo anniversario di matrimonio, gli sposalizi dei nipoti e poi tante altre occasioni ed eventi di famiglia: comunioni, cresime, compleanni e lauree.

Ritiratosi in pensione, mio padre passava il tempo fra casa e Centro degli Anziani situato a Ridgewood dove incontrava gli amici per giocare a carte o per passare un po’ di tempo insieme. Amava giocare a briscola, un gioco di carte che conosceva molto bene.

Ogni volta che usciva di casa, mia madre lo attillava. Chi lo incontrava per strada gli faceva tanti complimenti per la sua bella figura e per i suoi settanta, poi ottanta, poi novanta anni anni che portava assai bene. Infatti mio padre non ebbe mai problemi di salute sino all’età di novantadue anni. Camminava diritto, vedeva e sentiva bene, e ricordava tutto specialmente quando si metteva a raccontare qualche storia o evento del passato.

La sua dieta era molto semplice. A tavola non mancava mai nè un filoncino di pane nè un po’ di vino. A cena gli piacevano i piatti semplici e tradizionali e beveva un po’ di vino che mescolava ritualmente con la Coca-Cola.

Durante il breve periodo che mio padre passò in ospizio e poi in ospedale, la famiglia non lo abbandonò mai e gli restò vicino sino all fine. Mio padre si spense tranquillamente nell’ospedale di Flushing, nel Queens, il 24 gennaio 1992 alle quattro del mattino, quando il Signore lo chiamò a sè, chiudendo così il libro della sua vita che dai campi tranquilli della Sicilia l’aveva portato a New York, la megalopoli dei grattacieli. Aveva quasi novantaquattro anni il giorno della sua morte e non si fece mai cittadino americano.

Durante la veglia che durò per due giorni arrivarono tantissimi parenti, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro e poi tantissime lettere e telegrammi. La sala ardente era piena zeppa di fiori e di bellissime ghirlande. Le centinaia di cartoline e di messe ricevute espressero a mio padre e a tutta la famiglia il grandissimo rispetto di cui lui aveva sempre goduto. La messa e il funerale furono celebrati nella chiesa di Santa Brigida.

Mio padre adesso riposa nel Chiostro del cimitero di Saint John nel Queens. Il calice e i paramenti sacri li donammo a Don Carlo Bertola che li usa ancora oggi quando celebra la messa nella sua parrocchia di San Giorgio a Torino.

A febbraio del novantatrè, un mese dopo la morte di mio padre, ebbi l’opportunità di ritornare a Polizzi Generosa dove feci celebrare una messa di requiem da Padre Pasquale Lavanco nella chiesa di Sant’Orsola, nostra antica parrocchia. In quella occasione la chiesetta era gremita di parenti ed amici a cui rivolsi la parola per rendere omaggio a mio padre e per ringraziarli della loro presenza.

Alla fine della messa, presentai al sacerdote alcuni paramenti sacri in memoriam e il giorno dopo mi recai in pellegrinaggio al Santuario di Gibilmanna (famoso luogo mariano nella diocesi di Cefalù) per ringraziare la Bedda Matri della sua consolante presenza e per la buona salute e lunga vita che il Signore aveva concesso a mio padre.

Fu proprio questo nome della Vergine di Gibilmanna, rimasto stampato nel cuore e nella memoria di mio padre durante tutta la sua vita, e che io gli enunziavo spesso all’orecchio, che mi diede la sicurezza di sapere se lui mi sentisse ancora o no, e se fosse cosciente negli ultimi giorni della sua vita.


Si legge nel Salmo 92:

Ogni mattina è cosa buona rendere grazie

Al Signore per la sua bontà

E ogni sera, alla fine del giorno,

celebrare la Sua fedeltà.

Signore, tu mi hai reso forte

E hai disperso i cattivi

Che crescono come le erbe selvatiche.

I buoni fioriranno come le palme

E cresceranno alti come i cedri del Libano.

I buoni saranno trapiantati

Nel giardino del Signore

E saranno da lui coltivati.

Anche nella loro vecchiaia

Produrranno ancora frutto e rimarranno vivi e verdi.

Questo onora il Signore e mostra

La Sua premura

C’è solo bontà nel Signore.


Unendomi al salmista anch’io rendo grazie al Signore per la bellissima anima di mio padre che con mia madre mi ha dato i natali e ha fatto parte della mia esistenza.

Rendo grazie per il mattino, e la sera della sua vita quando lasciò questa terra.

Rendo grazie al Signore per la sua lunga vita benedetta con una bellissima famiglia, ottima salute, e l’amore di mia madre e di noi figli.

La sua morte, come proclama la Chiesa, è solamente un trapianto. E ciò mi consola.
Adesso papà Macaluso fiorisce come le palme e i cedri del Libano nel giardino del Signore, e continua a produrre frutti luminosi nel mio cuore e nella mia memoria per sempre.

Eterno riposo dona loro o Signore,

E splenda ad essi la Tua luce perpetua! Amen


Papà, riposa in pace nel Signore!



Mario Macaluso, New York


Nella foto, i miei genitori Giuseppina e Antonio.


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