La zaffinata di lu zzì Ustinu

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 14/09/2007
<b>La zaffinata di lu zzì Ustinu</b>

La zaffinata di lu zzì Ustinu

Scrivere è pensare, vivere, pregare (Thomas Merton)


Se c’è un luogo, nel Val di Mazzara, in cui si può toccare con mano e accarezzar con l’occhio l’incontro tra Preistoria, Occidente e Islam, è nni la zaffinata di lu zzì Ustinu, a sostegno di ‘na chiusa sospesa supra un rinazzu, arenacium, inclinato di 30 gradi, almeno, con un masso alle spalle, dalla forma di grossolano cubo, sulla cui superficie superiore figurano due o tre fosse ellittiche, create dalla natura ed adattate dall’uomo, cu scarpieddu e mazzuolu, o con più rudimentale e antico strumento, a svolgere funzioni capitali nella trasformazione dei prodotti della campagna.

Il miocenico esaedro, con la più soleggiata delle sue facce e la più umana, per via dei grandi occhi cavi e il ciuffo di lìlici per naso, fa da méntore a un pagghiaru dal tetto a la saracina, travata di taddi di zabbara, carpa di canneddi di sciumi, cassu di petri e taiu, che si apre, a sua volta, come per proprio impulso, ad uno spiazzo poliuso, sostenuto da una zaffinata ad ampio ferro di cavallo.

La duplice, curvilinea, struttura, allestita, rigorosamente, in pietra arenaria, dai colori tra il giallo e il rosso sanguigno, soprattutto, se lavata dalla pioggia e baciata dal sole, già esisteva, probabilmente, quando comparirono, ad Alia, i primi Arabi, ancora freschi dell’odore delle loro veloci safine, con le quali erano arrivati in Sicilia, a partire dal nono secolo dopo Cristo, secondo dall’Egira; ma, zaffino, zaffinata, fu, senz’altro, da lor chiamato, con poetica metafora, un tipo di manufatto, sic et simpliciter, muru a ssiccu, all’alisa dittu...

Un visitatore del terzo millennio, poi, di buona cultura cristiana, cui capitasse di vedere il complesso da noi abbozzato, dalla sottostante trazzera, riceverebbe, sicuramente, l’impressione di trovarsi dinanzi a una variazione sul tema de La montagna dalle sette balze dell’autore trappista, in esergo.

In tempi di nostra memoria, la zaffinata accoglieva nel suo duplice abbraccio, anche una stanzia, che il compiacente padrone aveva messo accanto, come compagna, al primitivo ospite, dinanzi alla quale, per un momento, fermo, lu zzì Ustinu poteva muovere lo sguardo, per 180 gradi e più, esercitando l’ormai scricchiolante rachide, su una toponomastica greco-araba, composta da Cammarata, dirimpettaia, Caltavuturo e Mungibieddu, sinistrorsi, Gibilrossa, Euraco, e un pezzo di Mar Tirreno, destrorsi, prima di salire sull’asina e cliccare pi lu Rabbatieddu, dove pulsava il cuore di ‘Nniriana, già in ansia per il marito.

Il camposanto, che lo zio Agostino, allegramente ed eufemisticamente, collocava a li Chianchiteddi, secondo un suo fine calcolo, sarebbe stata la sua sesta dimora… A qualcuno, che, dopo averne contate tre, quattro al massimo, gli chiedeva dove fossero le altre, rispondeva che mai ne avrebbe rivelato il sito, per timore di fucaticu e funnuaria…


Didacus


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