LA MORTE DELLE IDEOLOGIE

Radici & Civiltà

CARUSO DANILO CARUSO DANILO Pubblicato il 23/08/2009
<b>LA MORTE DELLE IDEOLOGIE</b>

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE


La più recente novità in campo di concetti politici nell'ultimo ventennio ed a conclusione dello scorso secolo è stata l'invenzione della morte delle ideologie. Antistene il cinico rimproverava a Platone di vedere il cavallo e non la cavallinità. A tutti coloro che hanno sostenuto la scomparsa delle idealità si potrebbe chiedere come un'idea - quasi a volerla intendere in senso platonico - possa morire: se così fosse non dovrebbe essere più pensata, non far più parte del nostro patrimonio conoscitivo.

Per contro accade che scompaiano le esperienze storiche, mentre gli ideali entrano a far parte del pensiero acquisito. Quando la storia e la storiografia hanno bocciato delle esperienze, o perché le loro idee erano inammissibili ed intollerabili o perché l'attuazione è stata fallimentare e negativa, ciò non si è tradotto nella radicale cancellazione dell'ideologico. Tant'è vero che se ne continua a parlare non solo per fare archeologia storica ma anche con lo scopo pedagogico di mettere in guardia l'umanità dal ripetere stessi errori.

Le tre grandi concezioni politiche del '900 sono sempre rivisitabili dall'analisi nella storia e nel sistema concettuale per trarre indicazioni tenendo i due piani divisi al fine appunto di separare lo storico dall'ideale. Il fascismo, il comunismo, il nazionalsocialismo - in gradi e con responsabilità diversi - hanno connotato negativamente il secolo breve. Addentrarsi nelle dinamiche storiche per guadagnare una visione nitida dei meccanismi non è né può mai divenire procedura giustificatoria: capire il perché è stato così non può né deve trasformarsi in giustificazione.

Le cause e le radici della nascita del nazismo stanno negli esiti della Grande guerra: differenti sarebbero stati gli eventi se la comunità internazionale avesse accompagnato ed assecondato un processo di sviluppo democratico della Germania post-bellica, colpita dalla crisi economica mondiale del '29 al punto tale di spianare la via del potere ad una ideologia razzista irrazionale che si richiamava a tradizioni interne neopagane ed al più ampio versante dell'antiebraismo (il quale aveva molti secoli di esistenza e fatti ugualmente ascrivibili ante litteram ai crimini contro l'umanità).

Non è da trascurare in tutta Europa l'effetto che esercitò la paura del comunismo (prima e dopo la Rivoluzione d'ottobre del '17). Il clima europeo d'inizio secolo, che portò alla prima guerra mondiale, era in fermento: l'affermazione del capitalismo aveva introdotto nuove e fortissime tensioni sociali che turbavano le incipienti forme di moderna democrazia.

Nel panorama di questa instabilità era sorto pure il fascismo a cui furono aperte le stanze del governo per superare il pericolo rosso. Col tempo - prima del secondo conflitto mondiale e durante - nacquero nel continente regimi e governi anticomunisti, che è sbagliato definire fascisti anche se amici ed alleati dell'Italia mussoliniana. Il fascismo fu un complesso fenomeno - trasformatosi poi in dittatura - che aveva al suo interno varie matrici di pensiero: una di fondo socialista (con venature di massimalismo), cui si sovrapposero soprattutto quella nazionalista, e quindi quella monarchica, ed in tono minore quella liberale. I non correttamente catalogati come fascismi europei non avevano questo humus, erano più vicini al nazismo. Anche parlare di nazifascismo come ideologia è inesatto: il fascismo assunse dal nazismo particolari dottrine sino ad emanare per questioni di allineamento politico le leggi razziali nel '38 promulgate da Vittorio Emanuele III. Dopo la seconda guerra d'Etiopia Mussolini aveva intrapreso la strada sbagliata dell'alleanza con la Germania allontanandosi definitivamente dalle democrazie occidentali che avevano mostrato nei suoi confronti parole di apprezzamento.

Nel bene e nel male il fascismo del primo dopoguerra aveva prodotto una stabilità in Italia che, in assenza di una compiuta democrazia, era preferibile ad una cruenta rivoluzione comunista. In seguito subì un'inaccettabile involuzione razzista. La tragedia della seconda guerra mondiale mostrò l'intensità degli errori umani e politici dei capi fascisti filonazisti: il peso storico di ciò che avvenne oscurò la parte di buono realizzata sotto il regime guidato da Mussolini (la quale già da prima conviveva con degli aspetti negativi): pur ricordando dei lati positivi non si può dimenticare la catastrofe finale in cui il fascismo e la monarchia portarono il paese. Come il comunismo il movimento fascista partiva in alcune situazioni da corrette istanze di giustizia sociale (non per niente sono entrambi nati dal socialismo) cui seppe dare delle risposte: per fare un esempio la difesa della nazione dai risvolti della crisi del '29. La complicità con il nazionalsocialismo nella persecuzione e nello sterminio degli Ebrei (fatti salvi i casi d'eccezione) ha comportato una precisa condanna della sua esperienza storica. La quale condanna colpisce, con altre motivazioni e per altri eventi, parimenti il comunismo, la cui teorizzazione da parte di Karl Marx era scaturita da sincere basi di denuncia sociale: tuttavia in nessuna circostanza la violenza può essere considerata strumento d'eccellenza o privilegiato per migliorare la società. Il fascismo, il comunismo, il nazionalsocialismo hanno provocato vittime. Ed anche se quelle a carico del fascismo sono meno di quelle del nazismo (seimilioni di Ebrei) e del comunismo (centomilioni di perseguitati) non si può minimamente credere di mettere la questione su un inumano e parziale piano di contabilità.

Delle discusse tre ideologie se si può salvare qualcosa è solo dalle dottrine economico-sociali del fascismo e del comunismo, separandolo di netto dal violento contesto storico di provenienza per attingerlo dal mondo delle idee. Un'operazione del genere fu quella da cui nacque il giustizialismo peronista, che ebbe in Evita la portabandiera dei descamisados(i bisognosi), e che rappresenta un'ottima ed eclettica costruzione ideologica, la migliore del '900. Questa ideologia non è stata condizionata dalla passata e travagliata storia argentina: essa è sempre stata democratica e di giustizia sociale, potremmo dire di sinistra nazionale non marxista (qualcuno direbbe di destra sociale, ma in termini di filosofia politica classica parlare di destra sociale è contraddittorio). In Argentina la presidentessa in carica è peronista di sinistra come il suo predecessore. In Italia non c'è un partito simile, malgrado tutto il Partido justicialista poteva forse essere paragonato ad Alleanza nazionale. Le idee non muoiono, chi dice questo sostiene una forma di nichilismo e promuove il disinteresse. Nessuna persona civile desidera scontri ideologici come quelli che hanno portato ad atti di terrorismo, ma ognuno da responsabile vorrebbe unicamente pacifici confronti su idee. Una politica senza ideologie che politica è? L'ideologia è l'anima di un sistema. Alla storia ed alla storiografia spetta il difficilissimo ufficio di mostrare nelle loro pagine e nelle loro immagini il bene ed il male delle esperienze passate, affinché quest'ultimo non abbia più a ripetersi e dell'altro si faccia tesoro a vantaggio di un futuro migliore per l'umanità.

Danilo Caruso


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