La vecchia storia italiana del fico

Radici & Civiltà

MACALUSO MARIO MACALUSO MARIO Pubblicato il 10/11/2009
<b>La vecchia storia italiana del fico</b>

La vecchia storia italiana del fico

La vecchia storia italiana del fico

di Autrice americana ignota

(Traduzione dall' Inglese di Mario Macaluso, Ph.D.)


Sono sicura che per la maggior parte dei bambini Italoamericani cresciuti negli anni quaranta e cinquanta c’era una distinzione marcata tra “noi” e “loro”. Noi eravamo Italiani.Tutti gli altri, Irlandesi, Tedeschi, Polacchi, erano Americani. Io ero già abbastanza grande quando finalmente riuscì a capire che ero Americana.

Ero nata americana ed ero vissuta qui tutta la mia vita, ma gli Americani erano gente che mangiava burro di arachide e panini di marmellata con pane bianco come era la pappa. Non sentivo rancore verso di loro, ma credevo solo che il nostro sistema fosse migliore col venditore del pane, quello delle uova, quello delle verdure e quello dei polli per citare i nomi di alcuni ambulanti che venivano nel nostro quartiere. Noi li conoscevamo tutti e loro ci conoscevano pure. Gli Americani invece andavano al negozio A&P per fare la spesa.

Mi meravigliavo che alcuni amici e compagni di scuola il Giorno del Ringraziamento e per Natale consumassero solamente tacchino ripieno, patate e sugo di mirtillo palustre. Noi pure consumavamo tacchino, ma prima venivano l’antipasto, la zuppa, la lasagna, le polpette e l’insalata.

Nel caso in cui al nuovo arrivato non piacesse la carne di tacchino, c’era anche quella di manzo. Subito dopo mangiavamo frutta, semi, dolci e biscotti fatti in casa, cosparsi di piccole cose colorate. A tavola imparavamo pure come consumare un pasto di sette portate fra mezzogiorno e le quattro del pomeriggio, come maneggiare castagne scottanti e intingere pesche nel vino.

Gli Italiani vivono l’idillio del cibo. La domenica ci svegliavamo all’odore dell’aglio e delle cipolle che friggevano in olio d’oliva. Mangiavamo sempre maccheroni al sugo. Domenica non era mai domenica senza prima andare a messa. Naturalmente non si poteva mangiare prima della messa perchè dovevamo digiunare prima di fare la Comunione.Sapevamo però che, al ritorno, avremmo trovato polpette in padella, e che nulla aveva miglior sapore di quelle polpette calde accompagnate da pane tostato intinto in una pentola di sugo.

Un’altra differenza tra “loro” e “noi” era il fatto che noi avevamo giardini. Non solo con fiori, ma anche con pomodori, peperoncini, basilico, lattughe e “cucuzza” (zucca). Tutti avevano una pergola d’uva ed un fico. In autunno bevevamo vino fatto in casa, litigando su chi l’avesse fatto meglio. Quei giardini erano fiorenti perchè avevamo qualcosa che i nostri amici americani non sembravano possedere: Noi avevano i nonni. Non è che loro non li avessero. E’ che i loro nonni non abitavano nella stessa casa o nella stessa strada.Noi mangiavamo con i nonni, e il Signore ce ne liberi se non andavamo a visitarli cinque volte alla settimana. Ricordo ancora mia nonna che ci raccontava come venne in America con “la nave” quando era ancora giovane.

Non dimenticherò mai le feste quando i parenti si radunavano dai miei nonni, le donne in cucina, gli uomini nel salotto e i bambini dappertutto. Credevo di avere centinaia di cugini. Mio nonno si sedeva in mezzo a tutti, fumando il suo sigaro DiNobili, molto orgoglioso della sua famiglia e del suo successo.

Ricordo come i miei nonni odiassero abbandonare la casa per qualsiasi motivo. Avrebbero preferito sedersi invece nella veranda posteriore a guardar crescere il loro giardino. Quando dovevano uscire per qualche occasione speciale, dovevano ritornare al più presto possible – dopo tutto non c’era “nessuno che custodisse la casa.”

Quando i miei nonni morirono, le cose cominciarono a cambiare. Le riunioni di famiglia diventarono più rare, e c’era qualcosa che sembrava mancare. Sebbene ci riunissimo generalmente in casa di mia madre, avevo sempre l’impressione che la Nonna e il Nonno fossero presenti.

Si capisce che le cose cambiano. Tutti abbiamo le nostre famiglie e i nostri nipoti. Oggi ci visitiamo ogni tanto o c’incontriamo alle veglie funebri o ai matrimoni. Altre cose sono pure cambiate. La vecchia casa che i miei genitori comprarono, adesso è rivestita di alluminio. Un prato d’erba copre ora il terreno dove una volta crescevano i pomodori. Non c’era più nessuno a coprire il fico che, alla fine, morì. Le feste sono cambiate. Sì, facciamo visite da un famiglia all’altra, ma in un certo modo le cose sono diventate più formali.

La grande quantità di cibo che consumavamo senza nessun malessere non è più buono per la nostra salute. Troppo amido, troppo colesterolo e i dolci contengono molte calorie. La differenza tra “noi” e “loro” non si può più facilmente definire. E penso che ciò sia una buona cosa.

I mei nonni erano Italiani-Italiani, i miei genitori erano Italoamericani. Io sono Americana e ne sono orgogliosa, proprio come i miei nonni avrebbero voluto che io fossi. Ora siamo tutti Americani: Irlandesi, Tedeschi, Polacchi, siamo tutti cittadini Americani. Tuttavia, in un certo modo, mi sento un pò italiana. Chiamala cultura. Chiamale radici. Non so cosa sia. So questo però: che i miei figli e i mei nipoti hanno perso una parte stupenda del nostro retaggio. Non ebbero mai la fortuna di conoscere i miei nonni.


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