da ALIA a SALGAREDA

Radici & Civiltà

REDAZIONE RADICI & CIVILTA` REDAZIONE RADICI & CIVILTA` Pubblicato il 16/01/2011
<b>da ALIA a SALGAREDA</b>

da ALIA a SALGAREDA

OLTRE OGGI


Un fil rouge culturale unisce due persone: l'una, insegnante aliese e l'altra, suo ex allievo veneto di scuola media, divenuto ora scrittore.

Si tratta della prof.ssa Rosa Guccione che, negli anni '70, ha mosso i suoi primi passi di docente di Lettere in terra veneta e precisamente a Salgareda, piccolo paese adagiato sulle sponde del fiume Piave, nella marca trevigiana.

Lo scrittore è Silvano Tognetti, impiegato, nativo di Salgareda e ivi residente con la sua famiglia.

A novembre dello scorso anno, Silvano ha voluto, in un certo senso, onorare il ruolo didattico ed umano della sua insegnante, invitandola a partecipare alla presentazione ufficiale del suo primo libro-romanzo “Oltre Oggi”, che si teneva al suo paese. E così è stato, con grande emozione e soddisfazione di entrambi: l'insegnante per rivivere, dopo lunga assenza, i momenti esaltanti del suo impegno didattico e di integrazione sociale in una comunità di civiltà diversa dalla propria siciliana; l'allievo, per rendere omaggio a chi aveva scoperto e incoraggiato il suo talento di scrittore.

“Oltre Oggi”, edizioniAnordest, sarà nelle librerie già dal corrente mese di gennaio 2011.
E' un romanzo, di 140 pagine in formato tascabile, che si legge d'un fiato sia per la snellezza della scrittura sia per l'avvincente trama che ruota su pochi personaggi sui quali aleggiano maestosi delicati sentimenti di vita familiare.

“Nella vita di Anna e Giorgio, coppia felice e normale, che ha costruito la quotidianità sui valori dell'amicizia, dell'amore, della pace, dell'aiuto agli altri, irrompe, improvvisamente, Andrzei, uomo senza dimora venuto dall'est.
Questo incontro casuale, inizialmente goffo ed impacciato, darà origine ad una linea di confine tra oggi e domani, dove ricordi, fantasie ed emozioni riaffiorano alla memoria ed il presente finisce per confondersi con il passato”



Per eventuali contatti con l'Autore: to.luciano@libero.it EDIZIONIANORDEST info@edizionianordest.com

Di seguito, un frammento iniziale del libro:


22 Dicembre 1979

"Zitto.Non riesco a sentire quello che dicono in tv":

Ieri sera, verso le 21:30, quattro uomini fuggiti da un Paese dell'Est hanno chiesto asilo politico alle Autorità Italiane.



Domenica, 13 Agosto 1970.

Le quattro del pomeriggio segnava il vecchio orologio a pendolo sopra il caminetto.

Dovevamo muoverci o non saremmo riusciti ad arrivare. Il viaggio era molto lungo.

Il tempo che mancava alla partenza si era improvvisamente azzerato, come se l'attesa non fosse mai esistita.

La casa in perfetto disordine, così come deve essere prima di partire per un lungo periodo.

Controllavo per l'ultima volta i documenti.

La nostra vecchia auto era stipata di pacchi e valigie.

Finalmente salimmo. Accesi il motore e lanciando uno sguardo furtivo allo specchietto, come incorniciati in una fotografia, vidi Anna, mia moglie, una signora di mezza età che cercava disperatamente di aggrapparsi alla giovinezza per non lasciare il passo agli anni che avanzavano. Luca, il figlio più grande, laureato con il massimo di voti ed ora disoccupato a tempo pieno. Giovanni, il più piccolo, ancora troppo giovane per affrontare la vita degli adulti e troppo vecchio per giocare a quella dei bambini.

E poi c’ero io.Un signore distinto e di bell’aspetto. Gli anni dipinti sui capelli ed occhi grandi e neri come il carbone. Sguardo forte e severo per nascondere un cuore tenero e pieno d'amore. La mia famiglia, la mia vita. È per loro che avevo lottato tanto contro quel male definito dai medici inguaribile e che, come per miracolo, si era dopo tante cure dissolto e sparito come l'alba che cede il passo al giorno.

Dovevamo partire o non saremmo mai arrivati. Avevamo perso anche troppo tempo.

Imboccai una strada secondaria che serpeggiava lenta in mezzo alla campagna, dove il traffico ed il rumore sembravano non esistere. Mi sentivo forte, sicuro e iniziai a pigiare sull'acceleratore per far scorrere il sangue nel motore, per sentirlo vivo, scalpitante in tutta la sua forza ed il suo vigore. Mi sentivo un dio ebbro di piacere e di potere. Io ero il padrone, io avevo il potere assoluto.

All'improvviso urlai: 'Attenti. Tenetevi forti..." Nello specchietto retrovisore gli occhi di mio figlio, la paura del suo viso.

Il mio piede frenetico che schiacciava il freno, la mia mano nervosa, irruenta che suonava il clacson. Ancora e ancora e ancora una volta. Disperatamente tentavo di cancellare quel momento. Forse stavo sognando, forse era solo un miraggio. Niente. Non succedeva niente. Niente. Era vero, era tutto vero: era là davanti a me, era su di me.

La paura. Chiusi gli occhi mentre mi arrendevo al destino.

Poi il buio, il niente, il tutto. Non capivo dove stessi andando, da cosa stessi fuggendo o a cosa stessi ritornando. Il mio corpo era avvolto da una strana sensazione. Come da bambino quando mi rinchiudevano in soffitta, in quella stanza scura ed angusta, quando il senso dell'equilibrio mi abbandonava e il mondo, fuori, iniziava a girare vorticosamente fino a che, sfinito, con le lacrime agli occhi, cadevo a terra a supplicare la pietà di mia madre, a sperare la liberazione da quell'incubo.

Immerso in quello stato, la mia mente mi stava riportando indietro negli anni.

Eccomi bellissimo. Occhi neri e grandi, un po' tristi. Poco più in là, nascosta, una donna: mi guardava come se mi stesse spiando. Mia madre, giovane nell'età, ma saggia e con i segni della vita scolpiti sul volto. Sempre pronta a difendere suo figlio.

Mia madre. Quante volte avrei voluto abbracciarla e dirle quanto le volevo bene. Ma ero un maschio ed il mio orgoglio me lo impediva. Ai maschi la natura ha affidato un compito: essere forti ed invincibili. Non riuscivo ad avvicinarmi a lei per godere delle sue carezze e del suo sorriso così dolce e grazioso.

Ora, che mi trovavo ad un passo dalla morte, il mio cuore soffriva e piangeva per non essere mai riuscito a trovare la forza di prevalere sulla ragione. Solo ora capivo. Ora che non avevo la possibilità di tornare indietro, di lasciare che il sentimento fosse più forte ed importante della ragione.

Immersa nella nebbia, la mente continuava a vagare di qua e di là del muro che divide la vita e la morte.

Vedevo una luce, dapprima fioca e debole, poi sempre più intensa, che mi investiva e mi costringeva ad abbandonare il sonno per seguire quel calore che mi voleva riportare alla vita.
[..]


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