L'antica via Egnatia, la strada bipolare

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 14/10/2014
L'antica via Egnatia, la strada bipolare

L'antica via Egnatia, la strada bipolare

Chi frequenta la Grecia da molti anni non può non ricordarselo. Traversare il nord del Paese, dall’Egeo allo Ionio, era una piccola avventura: un saliscendi di sette, otto ore, tra giravolte e dure pendenze su una striscia d’asfalto intasata da camion e corriere arrancanti, che a tratti s’incanalavano in paesini pittoreschi e superavano passi montani vertiginosi. Alla fine si arrivava ad imbarcarsi per l’Italia dal porto di Igoumenitsa, confinata in un angolino là, sotto l’Albania, non lontano dalle coste pugliesi.

Ora, tutto questo è finito. Un solo breve tunnel rimaneva ancora incompiuto quest’estate lungo la nuovissima autostrada greca che, con un percorso di 670 km, permette di passare in un paio d’ore da un mare all’altro, e addirittura nella stessa mattinata di raggiungere i confini della Turchia europea. E poi, da lì, volendo, si prosegue per Istanbul, porta dell’Asia. E viceversa.

Il paradosso è che il suo tratto più orientale, quello che dalla cittadina di Alexandroupoli giunge al posto di confine greco-turco di Kipi, risulta spesso semivuoto. Conduce infatti non solo alla barriera tra due Stati i cui rapporti continuano a non essere facili, ma anche al limite estremo dell’Unione Europea, segnato dal tratto finale del fiume Evros . È proprio qui che il governo ellenico sta costruendo una barriera fatta di reticolati e un profondo fossato. Lo scopo è porre argine al crescente flusso di migranti provenienti dai paesi asiatici o africani che passano attraverso la Turchia. Capita perfino di vederli, a volte, al calar del sole, marciare a piccoli gruppi in fila indiana lungo la corsia di emergenza dell’autostrada deserta.


L'autostrada Egnatia


L’idea di questo collegamento viario era nata negli anni Novanta (i lavori sono cominciati nel 1996). Il crollo dell’Unione Sovietica e l’avvicinamento della Turchia all’Unione Europea facevano prevedere un intensificarsi degli scambi in quella direzione, e il fenomeno migratorio era ben lungi dal destare le reazioni odierne. Per l’opera fu risuscitato un nome prestigioso: quello dell’antica Via Egnatia. Si trattava nientemeno che della prosecuzione al di là dell’Adriatico e nei Balcani della regina viarum dei Romani: l’Appia. Questa, come è noto, collegava l’Urbe al porto di Brindisi, da dove ci si imbarcava per approdare sulle coste dell’odierna Albania; e là iniziava appunto l’Egnatia, che collegava Italia e Grecia antica, proseguendo fino a Tessalonica (Salonicco) e a Bisanzio (Istanbul). Da qui gli eserciti, i funzionari e i mercanti proseguivano verso le province dell’Asia ellenizzata e i suoi grandi empori, dove arrivavano anche le carovane partite dal più lontano Oriente.

Era così importante, l’Egnatia, che fu la prima delle numerose strade che i Romani decisero di costruire fuori dalla nostra penisola. Si trattò, per quei tempi, di un’impresa straordinaria: attraversare i Balcani da est a ovest a quella latitudine, infatti, è una sfida all’orografia. Già di per sé il termine ‘Balcani’ significa ‘monti’; ma per di più in queste regioni i rilievi, così come i principali fiumi, scendono da nord verso sud: e quindi l’Egnatia doveva tagliarli, tutti. Solo l’organizzazione e i mezzi finanziari del più grande impero dell’antichità poterono realizzare quel percorso lastricato in pietra di 1.120 chilometri, ben più lungo della odierna autostrada, l’Eghnatìa Odòs, come la chiamano i greci.
Come è noto, i Romani erano grandi costruttori di strade; e lavorarono talmente bene, con in mente una prospettiva di durata nei secoli, che tratti dell’antico tracciato resistono ancora. Mi è capitato di ritrovarne in più punti. Come alle spalle dell’odierna Kavala, una cittadina macedone incastonata tra le montagne e affacciata sull’Egeo scintillante, con gli immancabili traghetti che salpano per le isole. È questo un tratto in forte pendenza, poiché la strada risaliva e poi scendeva per il passo che sovrasta la città provenendo dalla non lontana Filippi: sì, proprio quella della battaglia vinta da Ottaviano e Antonio contro gli uccisori di Cesare; e anche quella che ispirò le ‘Lettere ai Filippesi’ di S. Paolo - il quale come tanti si trovò a passarvi nel suo viaggio verso Roma.


L'antica via Egnatia, la strada bipolare

Anche l’asse viario moderno è un prodigio di ingegneria. Le semplici cifre bastano a dimostrarlo. Vi si contano 177 grandi ponti per un totale di 40 chilometri, nonché 73 lunghe gallerie (la maggiore è lunga 4,8 chilometri.). Specie nel tratto dell’Epiro, il 30 percento del percorso passa assai più in alto, oppure al di sotto, del livello del suolo.
Oggi come allora – nel XXI secolo come nel II a.C. – un piccolo Stato da solo, con le sue limitate risorse, non ce l’avrebbe mai fatta. E così, dei circa sei miliardi di euro di costo complessivi, la metà è venuta dai finanziamenti dell’Unione Europea: come non si stancano di ricordare lungo le corsie sospese tra le montagne i cartelli che i turisti scorrono con sguardo annoiato. Le imprese ciclopiche hanno sempre alle spalle grandi entità statali o, in alternativa, una grande unione di Stati: come quella costituita del nostro continente, almeno finché reggerà. Anche la moderna impresa, così come quella avviata dal console Gnaeus Egnatius dopo il 146 a.C., aveva una grandiosa ambizione: collegare in modo rapido e sicuro le due parti del mondo. La via Egnatiainsomma era, ed è, per le sue dimensioni e i suoi costi, una strada il cui senso non può che essere bipolare. Allora i poli erano le teste politiche delle due parti dell’immenso impero: quello romano d’Occidente, con capitale Roma, e quello d’Oriente, con capitale Costantinopoli. E oggi?


La nuova via Egnatia, la strada sospesa

Oggi, questo superbo nastro d’asfalto rischia di diventare un magnifico ponte sospeso, cui manchino le campate finali: alle sue estremità non lo attendono infatti varchi spalancati, ma le indecisioni e le lentezze, le miopie e le dispute che dividono i governi della regione. Non si tratta solo degli alterni rapporti dell’Europa con la Turchia. Anche il tracciato occidentale dell’Egnatia, se lo si confronta con quello della strada romana, è rivelatore dell’attualità geopolitica. Infatti l’antica Via non partiva da Igoumenitsa, non attraversava l’Epiro meridionale: i Romani sapevano che il tratto di mare più breve tra Brindisi e i Balcani non era lì, ma più a nord, dove si apriva il porto di Apollonia; mentre ancor più a settentrione quello di Durazzo offriva alle spalle un facile accesso ai Balcani. E per questo la fecero partire da queste due città che allora erano greche, abitate da Greci, mentre attualmente sono albanesi. Dopodiché, la Via Egnatia giungeva in Grecia, a Salonicco, attraversando il territorio della Repubblica di Macedonia o FYROM, a seconda dei punti di vista, dove toccava il lago di Ochrid ed Erakleia Lynkestis, l’odierna Bitola. Insomma, se si fossero rispettati la logica e il percorso originari, la nuova Egnazia avrebbe traversato oggi quattro stati (Albania, Macedonia/FYROM, Grecia e Turchia), non uno solo.
Comunque, era forse scontato che assieme ai fondi europei la Grecia incamerasse, per questa meritevole impresa, anche il nome della prestigiosa Via romana. Essere o non essere nell’Unione Europea: anche questo fa la differenza, specie nel campo delle infrastrutture.



L'antica Via di Solimano il Magnifico


Ma se nel suo primo tratto la moderna Egnatia ha mutato percorso, e se quello finale resta senza grandi sbocchi, che ne è di quello ancora successivo della antica Via romana, quello che arrivava fino alla imperiale Costantinopoli? Essa attraversava l’attuale confine greco-turco (quello che oggi si vorrebbe ‘fortificare’ con la barriera) poco più a sud della stazione doganale di Kipi, nei pressi dell’antica Traianoupolis: ed è anche lì per buoni tratti visibile, sebbene abbia perso il manto lapideo. Giunta sul Mar di Marmara, l’antica Via ne seguiva le coste fino a sbucare nella ‘Città’ per eccellenza attraverso la ‘Porta d’Oro’, aperta nelle maestose mura della capitale d’Oriente.
In effetti anche durante l’età dei Bizantini e degli Ottomani la via Egnazia continuò parzialmente a funzionare, percorsa da mercanti, eserciti, viandanti, predicatori, crociati, invasori, esploratori, migranti e fuggiaschi, in entrambe le direzioni. Ma poiché in quel lungo millennio Oriente e Occidente furono quasi sempre contrapposti, da ‘bipolare’ che era stata divenne ‘unipolare’. Il suo traffico, cioè, fluiva e rifluiva sempre partendo dalla capitale. In quei secoli erano le acque salate dell’Adriatico, non quelle dolci dell’Evros, a costituire un confine sensibile.
Gli imperatori cristiani e i padiscià musulmani continuarono quindi a restaurarla e a usarla. Ma mentre Bisanzio era in declino e la vedeva più come un possibile varco per gli invasori, l’impero ottomano dei secoli d’oro, specie al tempo di Solimano il Magnifico, la considerava una delle due ‘ali’ che dalla capitale permettevano di volare ai due estremi del mondo: più precisamente, l’ala occidentale, quella che la univa ai popoli sottomessi dei Balcani, e che avrebbe portato – si sperava, prima o poi – gli eserciti della mezzaluna a conquistare Vienna. [...]



Fabrizio Polacco

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l'articolo è tratto da Babelmed, dove si può consultare nella sua interezza.


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