Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) X^ parte

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 10/09/2005
<b>Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)</b> X^ parte

Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) X^ parte


Emigrazione verso gli Usa
Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)



Tesi di laurea della dott.ssa Cristina Guccione.


X^parte

CAPITOLO III

4. - Di fronte alle piaghe sociali

Una delle più tenaci campagne condotte da Mattei Teresi tra gli italo-americani è quella contro il giuoco d'azzardo e contro l'alcolismo. Per la posizione da lui presa è da credere – a conferma di tutta una bibliografia al riguardo - che, nei primi decenni del secolo XX, la piaga fosse abbastanza grave. Specialmente per il giuoco d'azzardo, il periodo più pericoloso, sia per i giocatori incalliti, sia per i novizi o per i contagiati, era quello coincidente con le feste natalizie e di fine e inizio d'anno.

Queste per alcuni erano ricorrenze interamente dedicate alle riunioni familiari. Per altri, ed erano molti, si presentavano come circostanze tanto attese durante le quali ci si illudeva di essere baciati dalla dea Fortuna e di potere risolvere, una volta per sempre, vincendo al giuoco, i problemi della propria esistenza. I giocatori erano convinti che fosse possibile il guadagno senza il lavoro, senza il biblico sudore. Essi ritenevano che, senza alcuno sforzo anzi col solo divertimento, fosse possibile mettere in tasca tanti dollari quanti era possibile racimolarne in uno o più anni di duro lavoro.

«Sono moltissimi, più numerosi di quel che non si creda, - Teresi dichiarava - coloro che abusano in malo modo del diritto al divertimento e alla distrazione. Da Natale a Capodanno nelle famiglie e nei circoli tutti giocano, e non v'è nulla di male; ma vi sono di quelli che giocano dal primo all'ultimo giorno dell'anno e dalle feste traggono pretesto per dare più largo sfogo al vizio, alla passione morbosa, fino all'esaurimento, al debito, alla rovina economica della famiglia» .

La denuncia di Teresi non era a vuoto. Egli alzava la voce perché aveva personalmente visto, aveva direttamente indagato, tanto che invitava i propri lettori a fare altrettanto, a gettare lo sguardo nei numerosi ritrovi pubblici e privati, dove gruppi di lavoratori trascorrevano le giornate e sciupavano «il magro salario curvi attorno a un tavolo, nelle torbide ansie del biscazziere, dimenticando i figli, sacrificandosi a una vita di privazioni, scivolando a poco a poco nella immoralità e nel delitto» .

L'inchiesta dell'esule aliese si sofferma su un dato che, certamente, sarà stato da lui vissuto in prima persona e che è rilevato con l'amarezza del missionario deluso dagli immediati risultati della sua attività. Egli, infatti, è costretto a constatare che la passione per il giuoco è talmente diffusa tra gli emigrati che «non è possibile tenere in piedi un club politico o religioso e non a patto di tramutarlo in una bisca » .

Teresi constatava che tra gli emigrati non solo si giocava troppo, ma anche si beveva troppo. E aggiunge che migliaia di famiglie erano in rovina a causa del continuo propagarsi di questi vizi, che molto spesso provocavano vere e proprie tragedie. Egli era un attento osservatore e un acuto conoscitore di questa terribile realtà. Ed, effettuando vere e proprie diagnosi psicologiche, scriveva che «se il bevitore si avvelena fino a divenire un cencio miserabile, un degenerato, un pazzo, il giocatore si appassiona e si infatua sino a divenire un ozioso e un delinquente»

. La disgrazia è, certamente, maggiore quando - e capita spesso - i «due vizi si assommano nella stessa persona, che può coltivarli entrambi nel medesimo luogo, e allora pel disgraziato la famiglia più non esiste, il luogo è un'impossibilità fisica e morale, i bui e tortuosi labirinti della mala vita sono un rifugio inevitabile» .

Carte e alcol in America, nei primi decenni del secolo XX, non facevano vittime soltanto tra gli emigrati italiani. Ma costoro, a differenza degli espatriati provenienti dai paesi nordici e, perciò, più abituati a difendersi dal freddo con l'alcol, non ne sopportavano facilmente le conseguenze e, quando non morivano presto, finivano negli ospedali o, se ritenuti irrecuperabili, addirittura nei manicomi. Non pochi, fra l'altro, dovettero essere i casi di coloro che, rendendosi responsabili di fatti criminosi sotto l'ebbrezza dell'alcol, furono rinchiusi nelle carceri. Bisogna cercare anche in siffatto triste stato di cose le cause per cui molti dei primi emigrati italiani, partiti soli in cerca di fortuna, non diedero più notizie alla famiglia e, magari, se ne fecero un'altra in America.

Abbastanza a conoscenza di come andavano le cose, Teresi fu tra quei pubblicisti che, nel primo ventennio del secolo XX, si schierarono contro il «Burnett Bill», ossia contro quella legge, richiesta con insistenza al Congresso dal repubblicano Mr. Burnett, in forza della quale erano considerati «indesiderabili» gli emigranti analfabeti, la cui individuazione avveniva tramite un «literacy test». L'esule aliese, per la sua parte, era convinto - e cercava in tutti i modi di dimostrarlo - che analfabetismo e delinquenza non erano sinonimi, anzi, per lo più, apparivano contrari. A suo parere si faceva una strana confusione tra analfabetismo e delinquenza, mentre le vicende umane dimostravano la loro consueta divergenza.

«Fino a quando gli indesiderabili - egli scriveva - saranno cercati fra gli analfabeti, la epurazione delle colonie straniere rimarrà un pio desiderio, e i malfattori continueranno a corrompere la polizia e ad ingaggiare i pezzi grossi del foro e della politica». Non era un segreto per lui che «la mala vita vive e prospera notoriamente sotto la protezione di persone capaci di fare evaporare qualsiasi procedimento penale : specialisti a tariffa elevatissima, gente onesta che trae dalla mala vita vistosi guadagni ed ha tutto l'interesse di tenerla in continuo esercizio» .

Per Teresi era un'evidente perdita di tempo e un affare da oziosi cercare gli indesiderabili tra gli emigrati analfabeti che - a rifletterci bene -, «dopo tutto, non possono scrivere lettere minatorie, né falsificare ordini bancarii, e per il fatto del loro analfabetismo non danno alcun contributo speciale alla delinquenza» . Resta fermo, tuttavia, che Teresi fosse per l'alfabetizzazione e l'educazione morale e civica degli emigrati, proprio perché istruzione ed educazione rendono i cittadini saggi e li mettono nelle condizioni di potere socialmente e dignitosamente vivere fra di loro. Da questo punto di vista egli si doleva per il fatto che l'Italia non avesse pensato in tempo, istruendo ed educando i suoi cittadini, a «evitare ogni disturbo a Mr. Burnett e al Congresso degli Stati Uniti» .

A tutela della sanità di molti sprovveduti emigrati italiani in cerca di «amore a pagamento», Teresi si occupò e preoccupò di un'altra purulenta piaga: la prostituzione. La quale, a suo parere, era ineliminabile e occorreva, a qualsiasi costo, controllarla piuttosto che volutamente sconoscerla o tentare di reprimerla. Egli, constatando che per evitarla, erano stati da sempre inutili le raccomandazioni dei medici e le prediche dei moralisti, sosteneva che il rimedio era ben altro : «riconoscere la funzione sociale della prostituzione, data la necessità dell'amore fuori del matrimonio; disciplinarla in modo da controllare l'attività, sopprimendone le manifestazioni morbose e criminose col massimo rigore, far comprendere alle infelici che vi è pure un modo di rendere meno odioso il loro vizio e meno turpe il loro mercato : avere la massima cura per la propria e l'altrui salute» .


La proposta di Teresi, in altri termini, verteva a fare comprendere che la società non ha alcuna convenienza a perseguitare le prostitute e a chiudere le case di tolleranza. Essa deve, al contrario, sottoporle a un rigido ordinamento «disciplinare e igienico», che, nel rispetto della libertà individuale, garantisca la salute e, attraverso i necessari e costanti controlli sanitari, impedisca la diffusione delle malattie venerie e sifilitiche. La repressione del fenomeno, al contrario, non farebbe altro che accrescerne la propagazione nella clandestinità con tutti gli inconvenienti che si possono immaginare.

Nell'affrontare il problema della prostituzione Teresi non poté fare a meno di rivolgere la sua attenzione a un altro problema, altrettanto grave e, in certo qual modo, a esso collegato, quello, cioè, delle ragazze madri, che, spesso, si disfacevano dell'innocente frutto del loro peccato abbandonandolo o, addirittura, sopprimendolo.

Nell'esaminare il dramma delle ragazze madri e la tragedia dei «figli della colpa», l'esule aliese partiva dalla premessa che «la maternità è sacra per se stessa» e bisogna, a tutti i costi tutelarla. Anche in questo caso la battaglia era condotta sempre contro l'ignoranza, contro una mentalità gretta, molto diffusa tra gli italo-americani della prima e della seconda generazione e grande responsabile di troppe atrocità. «Il pregiudizio dell'onore perduto - sosteneva Teresi - induce tante disgraziate a sopprimere con l'aborto o con l'infanticidio la prova della maternità extra-legale» . La società e le istituzioni hanno l'obbligo morale e civile di intervenire per educare le madri a tirarsi fuori dal loro pregiudizio e per evitare che esse diventino assassine dei propri figli.

Teresi, come si vede, non si stancava di raccomdare, quale efficace correttivo alle disfunzioni sociali, l'istruzione e l'educazione degli emigrati. Tutte le circostanze erano buone per ricordare la necessità di adottare tali rimedi. Ma, fra tutte, ce n'era una abbastanza solenne e significativa, durante la quale egli se lo poteva consentire in forma solenne. Ricorreva il 12 ottobre di ogni anno ed era una festa tutta italiana: il Columbus day . Presso la comunità italiana di Rochester, e anche altrove, egli non si lasciava sfuggire la preziosa occasione per tenere il discorso ufficiale o per scrivere un apposito, sentito articolo sui giornali ai quali solitamente collaborava. Non rare volte fece l'una e l'altra cosa. Si tratta di interventi, dai quali, certamente, viene fuori tutta la complessa personalità di Matteo Teresi letterato, pedagogo, psicologo e sociologo, ma, nella sua azione di coordinamento di questi importanti aspetti, c'è sempre un principio stabile e regolatore, c'è sempre l'amore per gli altri, per gli emigrati italiani e, in particolare, per i suoi compaesani.

Non sappiamo se, e in quale misura, i beneficiati siano riusciti a riconoscere e a ricompensare Teresi per tutto ciò che essi ricevettero da lui. La sua opera, come si deduce dalle sue carte e dalle testimonianze sul suo conto, si estese a ogni tipo di assistenza morale e materiale. Egli, oltre alla sua attività di pubblicista, fu lo scrivano a disposizione degli analfabeti incapaci di tenere la corrispondenza, il burocrate attento alle pratiche dei connazionali disorientati negli uffici della pubblica amministrazione, l'insegnante privato di italiano e di inglese per quanti desideravano apprendere l'una o l'altra lingua ovvero entrambe, il legale dei poveri in cerca di una difesa gratuita.

Gli italo-americani d'origine aliese residenti nello Stato di New York o in altri Stati limitrofi avevano a Rochester un saldo e sicuro punto di riferimento, un «friend and father», che non si sottrasse mai dal tendere la mano in soccorso dei propri «compaesani». Ma, anche dagli altri Stati dell'Unione e dal Canadà, Matteo Teresi riceveva richieste di ogni tipo di aiuto. Ed egli, spesso senza guardare a spese, rimettendoci di tasca, faceva giungere la parola amica o correva in soccorso senza nulla chiedere in cambio. Nella lontana Louisiana, sino a qualche anno addietro, viveva ancora qualcuno, come Mr. Lorenzo Buffamante, che, come raccontano i nipoti, era solito esprimere gratitudine alla memoria del missionario laico per il bene da lui ricevuto, allorquando, ancora ragazzo, partito da Alia, era approdato a New York dopo più di un mese di navigazione, e, grazie all'avv. Teresi, trovò lavoro e moglie a New Orleans, dove rimase per il resto della sua vita.

Il tutto si tradusse in un'autentica presa di coraggio e in un forte senso di sicurezza, consapevolmente acquisiti dagli emigrati aliesi, molti dei quali, meglio e prima di molti altri riuscirono a superare le inevitabili difficoltà incontrate nella nuova terra. E alcuni di essi, chi in un settore, chi nell'altro, trovarono pure la strada per affermarsi.









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