Voci Siciliane

BUCALO BIAGIO BUCALO BIAGIO Pubblicato il 25/06/2011
ALIA<br />Alia è un fresco, quieto e ridentissimo paese di mont

ALIA
Alia è un fresco, quieto e ridentissimo paese di mont

ALIA
Alia è un fresco, quieto e ridentissimo paese di montagna. E’ tagliato in disordine. Le sue strade sono
quasi tutte ripide, a zig-zag e tortuose, che s’intrecciano, sfuggono, si tagliano in ogni senso e scompaiono come in
un labirinto.
Si scende, per arrivarvi, alla stazione ferroviaria di  Roccapalumba -Alia, intorno cui serpeggia, ora
sfuggendo all’occhio dell’osservatore ed ora avvicinandosi sino a vederlo, ma sempre luccicante al sole, il fiume
Torto, dalle acque poco agitate e basse, in cui l’angusto letto ghiaioso spesso comparisce come per denotarne la
poca entità.
Poi bisogna percorrere nove chilometri di strada a ruote, che si svolge a spirale e sale, insinuandosi fra le
colline che, come tanti piccoli altipiani si rincorrono e si susseguono gradatamente, finché per sentieri diversi
arriva all’abitato il quale, essendo addossato alle spalle della così detta Montagna, che giunge all’altezza di
novecento metri (valle dell’inferno) sul livello del mare, domina, per un raggio vastissimo, tutte le campagne
circostanti, limitate a settentrione dal mar Tirreno e dall’acuminato monte S. Calogero: dal lato di NW dai monti
Cammarata e Busambra e dal monte Cane legati tra di loro da un semicerchio di altre montagne e colline
digradanti sino alle sottostanti discese, che formano come una splendida mezza luna accidentata e avvolta
nell’azzurro del lontano orizzonte indorato, e ad oriente dalla catena delle Madonie, coperte sempre di neve e su
cui, nelle ore mattutine di certe tranquille giornate, erge superbamente la sua cresta l’Etna fumante. In mezzo a
questa corona ininterrotta di monti, lievemente tinta di azzurro, ad accrescere l’incanto del magnifico panorama,
pare che si culli il sole, sopra un cielo sempre terso, come sopra un letto di fate.
Se si va più in alto, più largo e bello diventa il panorama, in cui spiccano immerse chiazze di verde,
sovrastate dalle grigie ed azzurre vette delle montagne lontane, avvolte nella caligine o confusa tra le ombre
proiettate dalle nubi vaganti e talvolta minacciose.
E salendo ancora fino all’Ilici e alla valle dell’Inferno (località entrando dall’ex feudo montana) dove il
silenzio è rotto dal tintinnio di qualche solitaria campana che portano al collo bovi o capre pascolanti su quei
terreni incolti, si può spingere lo sguardo ancora più lontano e prima di tutto esso cade e si ferma sul sottostante
abitato, che sembra una mostruosa schiena di pesce, in cui, accanto alle case della povera gente, si ergono palazzi
sontuosi e ove torreggia, sulla parte alta, la mole granitica del duomo, a mo’ d’antico castello fatto per guardare
gente guerriera, e in basso, in mezzo a un singolo di case mezzo dirute e casette di nuova costruzione che si
alzano e si abbassano inesteticamente, profilansi la cupola rossa della chiesa di sant’Anna, come una delle cento
del Kremlino – l’antica e mastodontica dimora degli Czar, a Mosca - e l’aristocratico e aghiforme campanile
dello stesso tempio, i cui mattoni a mosaico rispecchiano i loro vivaci colori incontro al sole nascente.
Dopo l’occhio spazia su una verde infinita di terre accidentate: e quando le nebbie e la caligine non lo
impediscono,  Roccapalumba , Montemaggiore, Caccamo, Campofelice di Fitalia, Sciara, Cammarata, S.
Giovanni Gemini, i ruderi del castello di Vicari, l’Etna e la catena delle boscose Madonie si veggono
biancheggiare ilari e ridenti all’orizzonte.
Che spettacolo imponente e vertiginoso ad un tempo!
Qui puoi osservare burroni tortuosi e profondi e allegre e brevi pianure: là giogaie amene e discese
interrotte da rupi e da macigni colossali, accavallatisi gli uni sugli altri e il tutto attraversato da centinaia di
sentieri, che vanno per boschetti solitari, toccano case coloniche e pagliai da mandriani e si perdono sulle cime
dei monti.Ma tutti quei sentieri fioriti di rose selvatiche, di ginestre odorose e di biancospini gentili; tutti quei
pascoli verdi, smaltati di fiori di ogni colore; tutti quei campi sterminati, in cui il grano, agitato con dolcezza dal
vento, ondeggia come un mare lievemente increspato da zèfiri mattutini: tutto quel verde che presenta le più
disparate gradazioni, dal cupo delle erbe da prato al chiaro delle piante di fichi d’india; tutto quel cielo sempre
sereno splendidamente azzurro, quei fasci di luce solare che avvolgono di un manto dorato ogni più remoto
angolo della terra con sottili rigagnoli traversanti insensibilmente la immensa distesa dei seminati e che
rispecchiano il filo argentino delle loro acque al sole; tutti quegli uccellini dalle ali variopinte e dal canto dolce ed
armonioso, bisogna mirarli in primavera, al risvegliarsi della natura.
Oh! Allora è tutto un paradiso, un incanto di forme e di colori, di profumi e di suoni. E’ una festa
indimenticabile pel cuore del visitatore la vista di quel panorama sublime, per quanto solitario e lontano dal
moto vertiginoso del progresso e della vita, che nulla o poco ha da invidiare ai tanto decantati paesaggi
svizzeri.E quanto il sole placidamente tramonta a fianco del Busambra, che pare lo protegga e lo voglia
nascondere agli occhi avidi di chi lo ammira estasiato i suoi ultimi raggi d’oro, oh! Nasce proprio un gran
desiderio, nell’animo di chi se ne allontana, di mandare a questi luoghi incantati, protetti dal cielo, dove nelle
silenti e verdi vallate gorgheggiano capricciosamente centinaia di usignoli, i poetici e dolci cantori dei nostri
monti, un mesto saluto di amaro rimpianto.

DAL LIBRO DEL CARDINALE CIRO LEONE

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