Voci Siciliane

TICLI ENRICO TICLI ENRICO Pubblicato il 31/03/2012
Mi scuso se ancora una volta voglio andare contro tendenza, contro la

Mi scuso se ancora una volta voglio andare contro tendenza, contro la

Mi scuso se ancora una volta voglio andare contro tendenza, contro la moda del momento, frutto del persuasivo plagio televisivo, di mal giudicare la classe operaia categoria della quale sono orgoglioso di far parte (o meglio ero orgoglioso di far parte!) Molti, troppi, i discorsi fatti per far passare la comune convinzione che le fabbriche fuggono dall`Italia (dalla Sicilia!) perché i lavoratori hanno altro a cui pensare che svolgere con decoro la propria mansione, "scioperano per vedere la partita" dichiarano alcuni in televisione, "..prendono la mutua per raccogliere le olive, svolgendo doppie attività e rubando energie all`attività lavorativa", "si inventano scuse per non fare anche quel poco che gli si chiede". Tutto può diventare verità se si amplificano i casi isolati facendoli diventare come comune abitudine. Stando così le cose è ovvio che le fabbriche chiudono andando ad impiantarsi dove vi è un maggiore senso del dovere, dove vi è la mentalità diffusa che fare il proprio bene vuol dire fare il meglio per la propria azienda. Questa maturità delle forze lavoro, guarda un pò, è stata raggiunta dai miei colleghi serbi e polacchi, mentre gli italiani ed i siciliani proprio non vogliono maturare! Lavorare in fabbrica non è come lavorare in un altro contesto. Il ciclo produttivo, la tempistica, i ritmi sempre più esasperati per massimizzare la produzione ed abbattere i costi, logorano il lavoratore fisicamente e psicologicamente. Conoscere il ciclo produttivo, viverne l`esperienza sulla propria pelle apre gli orizzonti facendo meglio comprendere il disagio dell`uomo-macchina e muovendosi verso una maggiore "umanizzazione" delle attività lavorative. Conoscere il ciclo produttivo vuol dire esseri consapevoli che la produzione può avvenire solo se gli operai sono tutti presenti nella catena, nessuno escluso! E` ovvio pensare che le "mele marce" sono in ogni luogo di lavoro (presumibilmente anche in Serbia o in Polonia!) ma proviamo a quantificarle e confrontiamone i numeri con altre realtà lavorative, magari la propria, tanto per capire se in coscienza siamo titolati ad aprir bocca non avendo TRAVI negli occhi così da potere facilmente scrutare le PAGLIUZZE dentro quelli altrui! Se da una parte l`opinione pubblica a gran voce sottoscrive l`esplicita suddetta responsabilità dei lavoratori come causa dell`esodo delle industrie italiane, dall`altra ecco arrivare le misure correttive al problema da parte di Ministri e titolati amministratori delegati della grande industria, misure che colpiscono pesantemente, guarda un pò, l`insieme di lavoratori seri che conoscono bene i loro doveri prima dei loro diritti pur non guadagnando 34 milioni di euro l`anno! Non voglio entrare nei meriti di discorsi che potrebbero non essere condivisi ma permettetemi di spendere una sola parola di elogio verso i LAVORATORI dell`EX Stabilimento FIAT di  Termini Imerese che malgrado la chiusura, annunciata ben 2 anni prima, hanno continuato a dare il massimo per mantenere alti i livelli produttivi e tenere elevatissima la qualità del prodotto finito (Lancia Y) definita dal cliente, qualitativamente parlando, (nel 2011) tra le migliori del gruppo FIAT. Notevole se valutiamo con coscienza il fatto che quella produzione veniva da uno stabilimento in dismissione dove, visto il pesante giudizio che si portava dietro, doveva regnare il menefreghismo e l`assenteismo mentre, fino all`ultimo giorno di lavoro i LAVORATORI (minoranza delle MELE MARCE escluse!) hanno lottato contro la pesantezza di un lavoro sempre meno a misura d`uomo, contro la pubblica opinione, contro una dura scelta aziendale più simile ad una punizione che ad una sofferta decisione, contro un sistema che parla di impegno nel lavoro di qualità ma in realtà premia il basso costo della manodopera ed i regimi fiscali più favorevoli di altri paesi. Perdere il lavoro è di suo abbastanza penoso fartene sentire responsabile è come conficcare il coltello nella piaga.

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