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C`ERA UN PAESE
C’era un paese, posto s’un monte,
ch’era protetto da un muro di cinta.
Viveva soltanto del proprio lavoro,
amava la vita, la pace, l’amore.
Aveva ben poco, quello che basta,
metteva sul desco il pane e la pasta,
cose che, a stenti, donava la terra:
acqua di pozzo e farina di farro
condivisi, fra tanti, in letizia
dicendo, segnandosi : grazie!
Faceva, con senno, le piccole cose:
quelle che danno il sonno e il riposo
perché teneva, tanto, all’onore
di non avere alcuno a cui dare.
In quell’eremo, di pietre e “canali”,
sormontato da due campanili,
la vita scorreva nella tradizione:
come acqua quieta, dentro d’un fiume.
Le mamme, a dar latte dal seno materno
con quello per mano svezzato da un anno:
vere fattrici nel mettere al mondo,
avvezze al lavoro, ad ubbidir tacendo.
Le nonne, sull’uscio, crescevano i bimbi:
tenuti a dormire con nenie sui grembi;
cucian le vesti, facean rattoppi
perché le spine avean fatto de’ strappi;
filavan la lana con altre vicine,
dicean d’amori, non andati a buon fine;
lavoravano a maglia, facean le calze
col pensiero all’inverno che incalza.
Appena già l’alba, sfornavano il pane
che avean preparato alla luce del lume.
I vecchi, non eran tenuti in disparte,
facevan le ceste seduti alla porta,
o preparavan, s’un ceppo, la legna
per dar fuoco alla cucina ed al forno.
Si prendevan anche cura, con arte,
delle buone verdure dell’orto.
Le case, un po’ strette, eran fredde d’inverno:
s’ardeva la brace, si stava d’intorno,
magari a scaldare del pane raffermo
condito con aglio ed olive dal forno.
Amava la strada, ch’era il suo cuore,
la vita all’aperto, i vecchi sapori
di pane caldo appena sfornato
e di frittelle di miele condite;
le mandorle e noci coi fichi asciugati:
delizia, a Natale, pei buccellati;
l’odore del mosto, del vino e dell’olio:
incenso, che dalle vie, sale nel cielo.
le frotte di bimbi, fra loro parenti,
intenti a giocare, felici, con niente
ed appena discesa la notte
dividono, assieme, anche il letto;
i panni lavati con acqua di fonte
esposti al giudizio di ogni passante;
le voci, suadenti, degli ambulanti
a barattare le fave e il frumento
o, quelle pel pesce, dello stagnaro
assieme al coro di ragli sonori;
il batter del fabbro, del ciabattino,
lo strider della pietra dell’arrotino;
gli squilli di tromba, a più riprese,
del banditore che gira il paese
per informare tutta la gente
di quanto deciso e d’ogni accidente;
i cavalli, addobbati di briglie,
che tirano i carri pieni di paglia;
i muli, grande risorsa a quei tempi,
portano a casa il grano dai campi;
i cani, i gatti e il gallo cantante
con le galline ovaiole ruspanti.
Questa era, allora, la strada: il cuore
di tutto e d’ogni sorta di fare,
una scuola di vita all’aperto
che insegnava l’amicizia e il rispetto
ed il tutto tace, col far della sera:
ai rintocchi al perdono e la preghiera!
Ma, un giorno…. , maledetta la guerra
che distrusse la cinta e la terra
portando con sé le cose più care:
quell’anima pura ed i suoi valori,
dicendo d’aprirlo a nuovi orizzonti:
perché è così che la storia va avanti !
_____________________
di Gioacchino Todaro
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