IL SOGNO DI CATERINA- PARTE IV^ -
PARTE IV^
" Quando, secondo il volere di Dio, la signora Gastaldi morirà, tu erediterai la sua casetta, avrai un tetto sotto cui abitare; comportati bene, però, e mi raccomando, ubbidisci ed abbi sempre pazienza: la signora è anziana e le persone anziane vanno rispettate, immagina che sia la tua mamma! "
La Superiora aveva stretta in un abbraccio quella figliola che, nonostante avesse già venti anni, non avrebbe voluto lasciare l’istituto e poi si era fatta promettere dalla signora Gastaldi che qualche volta sarebbe tornata in visita con Caterina.
Abituata all’obbedienza ed alla rigidità della vita di istituto, solo dopo molto tempo si era resa conto di essere divenuta prigioniera di una donna che la sterilità e la vedovanza avevano invecchiato prima del tempo e avevano resa bisbetica, di una donna che le rimproverava, sottilmente, la sua giovinezza e che la obbligava ad ascoltare il racconto della sua vita, i luoghi visitati, i lunghi viaggi felici per mare a bordo di navi bianche come i gabbiani dove, raccontava per farle invidia, si balla, si mangia, si dorme e si fa l’amore!
A lei, a Caterina, invece, la signora Gastaldi impediva di uscire da sola e le diceva che lo faceva per il suo bene perché lei, povera trovatella, non sarebbe stata in grado di difendersi dagli uomini che, promettendole chissà quali cose, le avrebbero fatto commettere tanti peccati, come, aggiungeva, accadeva spesso a tante donne peccatrici.
Un pomeriggio di fine estate, al molo aveva attraccato un’imbarcazione militare. Rassicurata, dal tono profondo del respiro, che la signora Gastaldi dormiva, Caterina, con molta attenzione per non fare rumore, aveva posato il lavoro a maglia e si era alzata in piedi per poter osservare meglio le persone che scendevano dall’imbarcazione; c’erano diversi marinai ed alcune donne che da lontano le sembrarono giovani e felici: lo intuì dai loro movimenti agili e dal loro andare e venire mentre attendevano chi si attardava a scendere. Le donne indossavano gonne vaporose, sorrette da rigidi sottogonna che aveva visto in un negozio a Portovenere e che qualche giovane indossava per pavoneggiarsi quando andava a messa. Anche lei avrebbe voluto una gonna vaporosa ed anche se Giacomina aveva detto che quelle non sembravano gonne ma ombrelli, lei era rimasta della propria idea: a lei facevano tornare alla mente i disegni di certe campanule rovesciate che aveva visto stampate sui libri di scuola.
Osservando quelle giovani sul molo, Caterina aveva constatato con amarezza che lei non sarebbe stata mai come loro: era un pò grassa.
Quella frase gliel’aveva detto poco tempo prima la signora Gastaldi che subito dopo, forse per mitigare la soddisfazione cattiva delle proprie parole aveva aggiunto, sincera: " Hai soltanto una cosa bella: il viso! "
La vista di quelle giovani aveva dato a Caterina il senso della propria dimensione fisica: non sarebbe mai stata leggiadra, carina come loro. Si era guardata addosso con tristezza e con un gesto involontario si era toccata i capelli, neri, ondulati, che la signora la obbligava a portare raccolti a crocchia sulla nuca, come quando stava in istituto. Intanto le giovani erano scomparse dal suo sguardo; se fosse uscita sul balcone, al di sopra del tetto spiovente della casa costruita un po’ più avanti, avrebbe potuto vederle mentre giungevano in piazzetta. Per la prima volta aveva provato invidia nei confronti di qualcuno e rancore per il proprio destino, così era tornata al proprio lavoro nella speranza di riuscire a calmare i sentimenti che la agitavano ed ai quali non avrebbe saputo né voluto fare domande.
Mentre le sue mani si muovevano agili, Caterina aveva iniziato a fantasticare sulle donne appena viste: chissà da dove venivano e dove sarebbero andate dopo la sosta a Portovenere? Forse erano ricche, forse mogli o figlie di ufficiali e si divertivano a girare il mondo, felici, libere di fare quel che volevano, libere di comprare quel che a loro piaceva e di indossare quel che preferivano, felici di stare su una nave!
All’improvviso aveva riflettuto che probabilmente c’era davvero qualcosa di bello e di particolare nell’andare per mare, quel pensiero le aveva dato la sensazione di vedere dinanzi a sé una finestra aperta dinanzi alla quale nessuna signora Gastaldi avrebbe potuto impedirle di affacciarsi!
Da allora Caterina aveva iniziato a fantasticare sul mare; le piaceva sognare mentre stava seduta dietro i vetri chiusi del balcone in inverno ed a fianco degli scuri socchiusi per impedire alla luce di inondare la stanza, in estate.
Poco dopo la morte della signora Gastaldi, alla lettura del testamento, Caterina aveva appreso che l’appartamento nel quale viveva da circa quindici anni, sarebbe divenuto di sua proprietà se vi fosse rimasta sino a quarant’anni, purché non si fosse sposata prima di quell’età. Assorbita dal dolore per la morte della sua benefattrice, Caterina non aveva compreso che quella, forse ancora invidiosa della sua giovinezza, intendeva renderla prigioniera in quella casa, allontanandola dalla vita!
Invecchiata anche lei e non sapendo dove andare, Giacomina era rimasta in quella casa che considerava un po’ propria, per accudire a Caterina che, ormai disabituata a farlo, usciva sempre più raramente dalla sua nuova camera, quella con vista sul mare che era appartenuta alla signora Gastaldi.
Un giorno, Caterina aveva trentotto anni, in casa era giunto Bruno, un nipote di Giacomina; l’anziana zia gli aveva già parlato di Caterina e lo aveva convinto a conoscere la giovane fiduciosa che, anche lui solo al mondo e dopo tanto girovagare come marinaio, si sarebbe fermato ed avrebbe sposato la buona Caterina. Il nipote aveva cinquantadue anni, quando avrebbe finito di lavorare avrebbe ricevuto la sua pensione e lei, Giacomina, sperava con quel matrimonio, di assicurarsi una vecchiaia serena in quella casa, contro il timore di poter finire in un ospizio per vecchi quando, chissà, Caterina avrebbe potuto decidere di sposarsi compiuti i quarant’anni.
Quando aveva visto Caterina per la prima volta, Bruno era rimasto perplesso dinanzi alla sua corpulenza; subito dopo aveva capito che quella rotondità – si rifiutava di parlare di grassezza – derivava alla ragazza dalle lunghe ore trascorse seduta a lavorare a maglia e si era anche convinto che se non fosse stato per quella
"rotondità" Caterina sarebbe stata una donna graziosa.
Claudia Lo Blundo